mercoledì 27 febbraio 2013

Storia di una morte annunciata.


Di Francesco Salistrari.

Stiamo assistendo in queste ore all'agonia di un moribondo.
Ne osserviamo gli strepiti, il colorito cinereo, le parole insensate, il respiro pesante, assorbiamo l'aria tesa che si respira intorno a questo cadavere politico.
Sto parlando del PD, cioè di quell'esperimento mal riuscito di far convivere in un unico contenitore politico le due anime dell'Italia, quella di matrice comunista e quella democristiana. E benchè ormai di queste anime se ne avvertano solo eco lontane, non solo nel PD, ma all'interno della stessa società italiana, pur tuttavia il tentativo di conciliare cinquant'anni di contrapposizione ideologica e culturale, filosofica e morale, politica e sociale, non è andato a buon fine.
Lo vediamo chiaramente dalla situazione di impasse nel quale è piombato il partito ad appena due giorni dal voto, una situazione che vede il PD di fronte ad un bivio con strade che portano tutte verso una sconfitta, non più soltanto politica, ma storica.
E già osserviamo le due anime del PD dividersi tra chi vuole un accordo con i grillini (che rifiutano) e il PDL (che aspetta), tra chi tenta di salvare il salvabile (Bersani) e chi prova a sfruttare l'occasione per salire in sella (Renzi).
Una bella gatta da pelare, non c'è che dire.
Bersani, riconfermato almeno per il momento come leader del partito nonostante abbia portato la sua formazione a non vincere delle elezioni che sembravano praticamente in tasca, si trova oggi di fronte ad una scelta difficile, complicata, straziante. Deve scegliere in base a due criteri fondamentali quale strada percorrere, rispetto a quelle che ha di fronte. E questi due criteri sono il bene del partito e il bene del paese.
La prima delle strade obbligate, sarebbe quella di chiedere nuove elezioni subito (fintando un tentativo di formare comunque un governo) e sperare nella non vittoria di Grillo alla prossima tornata. Il che, per gli interessi immediati del paese, sarebbe un problema (per non dire un dramma).
L'altra strada sarebbe quella di fare un accordo di governo con Grillo (ammesso che riesca a convincerlo), accordo che presupporrebbe una piattaforma di 5/6 punti programmatici da applicare subito tra cui senz'altro delle misure anti-crisi sul versante sociale (tipo il reddito di cittadinanza) e la legge elettorale. Fatto ciò, poi voto. Ma sarebbe una sconfitta politica enorme, perchè alle prossime elezioni vincerebbe sicuramente Grillo, che porterebbe sul piatto degli elettori le conquiste ottenute, il successo elettorale e una credibilità accresciuta, riuscendo senz'altro a portare al voto molti di quelli che a queste elezioni non hanno votato.
Altra possibilità sarebbe quella di provare a cooptare una parte (giusto i numeri necessari) dei parlamentari grillini e fare un accordo con Monti per la formazione di un governo, ma alle prossime elezioni la credibilità del PD starebbe a zero e prenderebbe una sonora lezione. O ancora proporre un “governissimo” in stile ammucchiata con il PDL (da studiare la formula migliore), ma nonostante probabilmente questa sarebbe la scelta migliore per la stabilità del paese rispetto all'agitazione dei mercati (vedi tu come siamo messi!!), sarebbe dal punto di vista elettorale e politico un autentico harakiri, anche ammettendo che entri in campo il maggior sponsor di questa soluzione, vale a dire il rampante Renzi.
In ogni caso, politicamente il PD sarebbe sconfitto e sarebbe costretto a ricostruire sulle proprie macerie. Nelle ipotesi di voto immediato o di accordo con il PDL (o governo Monti+trasfughi) sarebbe più semplice tenere insieme la baracca e ripartire. Certo, ciò presupporrebbe un completo azzeramento dei vertici, un rinnovamento profondo necessario a presentare il partito con un volto completamente cambiato, con un programma diverso, con un leader che abbia più carisma di Bersani. Renzi, insomma scalderebbe già i motori.
Nella peggiore delle ipotesi, quella di accordo con Grillo, benchè sia la migliore dal punto di vista degli interessi del paese, l'unica capace di dare risposte rapide alle prepotenti richieste sociali implicite nel risultato elettorale, l'unica in grado di affrontare e risolvere alcuni nodi cruciali della pericolosa situazione in cui versa l'Italia, sarebbe per il PD, dal punto di vista degli interessi del partito, un autentico suicidio, perchè le due anime tornerebbero a camminare per conto proprio. In altre parole, l'accordo con Grillo (sempre ammesso che il Movimento 5 Stelle ci stia e a sentire le dichiarazioni del comico genovese appare improbabile), significherebbe scissione.
Un bel dilemma.
Una situazione davvero drammatica per un partito che solo poche settimane fa, cioè vale a dire prima dell'esplosione dello scandalo dell'MPS (chissà come mai proprio adesso?), era sulla cresta dell'onda, pronto a governare il paese (certo in nome di un europeismo masochista), sicuro vincitore, protagonista della stagione politica che sembrava aprirsi insieme alle schede elettorali.
E invece adesso siamo qui. Ad osservare gli strepiti di un morente. Di quella morte lenta che passerà alla storia come la fine del Centrosinistra italiano.
Con buona pace di Blair, Clinton e soci, ai cui funerali abbiamo già partecipato tanti anni fa.

Elezioni 2013, psicologia della morte annunciata del PD.


di Barbara Collevecchio.

Siamo nel caos, viva il caos.
Quando ho deciso di non votare l’ho fatto sperando questo epilogo. Da psicologa so bene che solo quando un paziente decide di capire di essere malato può intraprendere l’inizio della guarigioni. L’Italia è profondamente malata, deve toccare il fondo e vivere il caos per pensare di poter ripartire e partorire una stella danzante.
La vittoria del M5S è la cronaca di una morte annunciata, quella dei partiti. Ecco chi ha perso, complice l’astensione di chi era disgustato.
Il Pd: da tempi immemori avevo iniziato a parlare del narcisismo autoreferenziale dei vertici del Pd, scrivevo un anno fa: “Il partito democratico vive un’anomalia interna: da una parte ha come mito fondativo il vecchio padre dell’ideologia comunista, dall’altra un mal celato centrismo che va da tutt’altra parte. Quello che emerge è una dissonanza cognitiva tra i membri, che non possono diventare fratelli in quanto figli di diversi padri.
Il mito fondante del Pd allora non è né l’ideologia comunista, né quella centrista ma rischia d’essere piuttosto un ibrido costruito a tavolino cui manca una visione chiara non solo futura, ma anche passata e presente. Da ciò deriva che il Pd è percorso da forti correnti interne, figli ribelli, e che la sua maggiore preoccupazione è tentare di dare una parvenza di democrazia diretta, attraverso le primarie che purtroppo però sono quasi sempre a perdere. In nome del voto utile si è fatta molta confusione, ma non pare a tutt’oggi che la creazione di questo partito socialdemocratico italiano abbia creato una possibile alternanza governativa. Visioni così dissimili rischiano di paventare l’ingovernabilità. Il Pd non può continuare a guardarsi la punta delle scarpe e ad avere un atteggiamento narcisista e un dialogo con se stesso. Nel frattempo se si scende per strada si percepisce una rabbia, uno sdegno e un odio viscerale nei confronti della politica, sdegno e irritazione che aumentano quando si leggono su Twitter esponenti importanti del Pd parlare tra di loro di presidenzialismo, di giochini di potere e riforme, come se fossero loro ad essere in ballo, la loro sopravvivenza e non quella di un popolo che si sta portando a livelli di insofferenza pericolosi ma, forse, davvero motivati. 
Le primarie infatti sono state a perdere: anche qui su ilfattoquotidiano.it per mesi non ho fatto altro che definire il Pd una signorina snob che sarebbe rimasta da sola, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e questa sconfitta che è riuscita persino a riportare in auge Berlusconi non è un male per il nostro paese se questo partito ora spazzerà via tutti i vertici e si riformerà.
Grillo ha vinto, Berlusconi ha vinto, perché la sinistra in Italia non esiste: è assurdo e indegno che una ventata di anti austerità e movimentismo l’abbiano dovuta introdurre due milionari ma tant’è. Nel mio articolo di tempo fa Tra Rete e proposta politica: Beppe Grillo, il Robespierre che non piace agli intellettuali, scrivevo: non i partiti, ma i gerontofili che li presiedono devono accettare il fatto che è finita: come afferma Gramellini oramai c’è un fastidio fisico nei loro confronti. Gli italiani sono disgustati, odiano. Immaginate un matrimonio oramai alla frutta e come ci si sente a finire ancora al letto con quella persona e non poter cambiare letto: come minimo si va a dormire sul divano.
Grillo è stato ed è per ora, questo divano dove gli italiani schifati ed esasperati vanno a dormire per non trovarsi nel letto i vecchi politici. Il messaggio è: ristrutturatevi ora, finché c’è tempo o a non dormir più sonni tranquilli non saranno più gli italiani ma voi. 
Se si è intellettualmente onesti ora si può solo riconoscere la capacità di Grillo di aver assorbito questa protesta e sperare che gli eletti ne facciano buon uso facendoci tornare presto alle urne con  almeno una legge elettorale che non ci umili più. 


Timori di un colpo di Stato.


FONTE: DARKERNET.IN 


Mercenari di Blackwater hanno attualmente la supervisione delle forze di polizia greche, mentre aumentano le voci di un possibile colpo di stato. Riteniamo che la situazione sia estremamente tesa e che i mercenari siano lì principalmente per proteggere il governo e il parlamento in caso di problemi sotto forma sia di rivoluzione che di contro-rivoluzione. È stato inoltre scoperto un tentativo di destabilizzazione che coinvolgeva l’estrema destra e la polizia.

Negli ultimi 12 mesi o più la Grecia ha assistito a ondate dopo ondate di dimostrazioni di massa, disordini, scontro tra polizia e dimostranti, attacchi armati a sedi governative, attacchi di estremisti di destra (1) (cioè Alba Dorata) (2) contro migranti come pure, naturalmente, il collasso totale dell’economia.

Il governo è stato afflitto da numerosi scandali (p. es. conti bancari segreti in Svizzera) (3) e giornalisti sono stati arrestati. La maggior parte delle persone vive alla giornata tramite cooperative (4), i lavoratori si stanno impadronendo delle fabbriche. (5)

Come abbiamo detto, è in corso una rivoluzione, una rivoluzione caotica (6) che diventerà ancor più caotica, perché la situazione in Grecia è entrata adesso in una fase critica, di cui vi presentiamo il riassunto di seguito, con altri dettagli:

· la strategia delle tensione è già iniziata;
· mercenari a protezione di un governo sotto assedio;
· si parla apertamente di colpo di stato;
· gli addetti ai lavori avvertono che è imminente una rivoluzione (o una contro rivoluzione).

Strategia della tensione

Alcuni giorni fa avevamo parlato di un complotto della polizia in connivenza con l’estrema destra per istigare un massacro di poliziotti, del quale accusare gli anarchici. Presumibilmente questo evento sarebbe stato utilizzato come pretesto per introdurre la legge marziale o lo stato d’emergenza. Il complotto potrebbe essere stato sventato (23 persone sono state arrestate) dalla Blackwater in cooperazione con funzionari fedeli al governo. Si prevede che Blackwater continui a monitorare le operazioni di polizia in genere, per identificare quei funzionari che potrebbero essere coinvolti in altri complotti simili.

Nota: l’espressione “strategia della tensione” fu coniata in Italia tra gli anni 70’ e 80’, quando furono compiuti attentati dinamitardi contro la popolazione civile da parte di organizzazioni neofasciste quali Ordine Nuovo, (7) Avanguardia Nazionale (8) o Fronte Nazionale (9) (e da parte di organizzazioni anarchiche; n.d.t.).

Mercenari a protezione di un governo sotto assedio

A novembre scorso il governo ellenico ha firmato un contratto con Academi (la nuova denominazione di Blackwater), contratto rimasto peraltro segreto, tanto è vero che non se ne trovano dettagli sul sito di Academi. Notizie circa questo contratto hanno cominciato a filtrare verso la fine di gennaio, quando Leonidas Chrysanthopoulos, ambasciatore greco in Canada, se lo è lasciato sfuggire durante una intervista, pubblicata poi in un blog (10) (vedere frase evidenziata in rosso). Il contratto con Academi è stato confermato pochi giorni dopo dal sito di notizie militari greco Defencenet.

Blackwater/Academi è la famigerata società che condusse operazioni con mercenari durante l’ultima guerra in Iraq, che si trovarono coinvolti in inutili scontri a fuoco in aree urbane che coinvolsero vittime tra i civili. Attualmente ha una base operativa avanzata (11) in Afghanistan.

Riteniamo che, in Grecia, abbia un duplice ruolo. Da un lato, supervisionare le operazioni di polizia; il governo ha richiesto il suo intervento in tal senso dato che si sa che le forze di polizia sono ampiamente infiltrate da elementi fascisti di Alba Dorata. Non è quindi possibile fare pieno affidamento sulla lealtà della polizia. L’altro ruolo è quello di operare da forza neutrale per fornire protezione completa al governo contro assalti, da qualsiasi parte arrivino. Di fatto, il governo greco è sotto assedio.

Imminenza di una rivoluzione (o una contro rivoluzione)

Secondo l’ambasciatore Chrysanthopoulos, nella sua intervista: “Ad un certo momento, molto presto, si verificherà un’esplosione di agitazione sociale, e questo non sarà affatto piacevole”. Ha fatto poi riferimento ad una quindicina di incidenti armati nei dieci giorni precedenti, inclusi lanci di molotov contro uffici dei partiti di governo e abitazioni di giornalisti pro-governo, oltre a sparatorie contro il quartier generale di Nuova Democrazia, il partito conservatore del Primo Ministro. Infine, anche una bomba in un centro commerciale di proprietà del secondo cittadino più ricco del paese. Chrysanthopoulos prevede che i guai cominceranno con la prossima serie di misure fiscali, cioè presto. 






Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ARRIGO DE ANGELI

NOTE

1) http://darkernet.in/greece-golden-dawn-nazis-and-police-racist-attacks-fragments-from-the-darkside 
2) http://darkernet.in/report-from-greek-anarchists-on-golden-dawn-as-international-solidarity-sought
3) http://darkernet.in/list-of-greek-business-people-and-politicians-with-alleged-secret-swiss-bank-accounts 
4) http://darkernet.in/inside-the-greek-and-spanish-parallel-economy-glimpses-of-social-revolution
5) http://darkernet.in/now-for-some-good-news-greeks-are-beginning-to-take-over-workplaces-but 
6) http://darkernet.in/the-insurrectionary-strands-of-greece-and-beyond-unravelled
7) file://localhost/wiki/Ordine_Nuovo
8) http://en.m.wikipedia.org/wiki/National_Vanguard_%28Italy%29 
9) file://localhost/wiki/Fronte_Nazionale
10) http://greece-salonika.blogspot.hu/2013/02/blog-post_3328.html
11) http://darkernet.in/blackwater-clones-ghosting-in-afghansyrialibya-forward-ops

martedì 26 febbraio 2013

Tempesta perfetta.

Viviamo in tempi rivoluzionari, ma non vogliamo prenderne atto. Usiamo questa espressione in senso “tecnico”, non politico-ideologico. Non ci sono masse intorno al Palazzo d'Inverno, ma la fine di un mondo. Il difficile è prenderne atto. 


Si sta rompendo tutto, intorno a noi e dentro di noi, ma quando ci dobbiamo chiedere – fatalmente - “che fare?” ci rifugiamo tutti nel principio-speranza, confidando che le cose, prime o poi, tornino a girare come prima. Per continuare a fare le cose che sappiamo fare, senza scossoni.

Non possono tornare come prima. 

Inutile prendersela più di tanto con le singole persone o le strutture – leader, partiti, sindacati, media, confindustria, ecc – che hanno responsabilità pazzesche, naturalmente, ma sono anche totalmente impotenti di fronte a un mondo che si spacca. “Le cose si dissociano, il centro non può reggere”. Non saranno i Bersani, i Berlusconi o i Napolitano a tenere insieme le zolle tettoniche in movimento.

Come interpretare altrimenti il fatto che le “elezioni più inutili della storia” - definizione nostra – abbiano prodotto la più seria rottura di continuità nel panorama politico italiano?

Era tutto fatto. Un programma di governo “responsabile” scritto in sede europea e noto come “agenda Monti”; una coalizione costruita per “coprirsi a sinistra” senza spaventare i moderati; un polo moderato-centrista in realtà “estremista europeo”; un governo “ineluttabile” Bersani-Monti (con Vendola addetto ai “diritti civili”, che in fondo non costano niente). Gli antagonisti? Impresentabili in Europa, come il jokerman di Arcore e il comico di Genova; oppure riedizione minore di un arcobaleno fallimentare, fisicamente rappresentato da magistrati progressisti. Ma magistrati. 

Un paese diviso ha prodotto una rappresentanza divisa. E non è colpa della “gente”, dell'”individualismo”, del menefreghismo. Perché queste tabe italiche sono il corrispettivo esatto di una struttura produttiva che magari presenta ancora isole di eccellenza, ma “non fa sistema”; di una società frammentata nel modo di produrre ricchezza, di estrarre reddito, di sopravvivere. Ma un paese dove la produzione di ricchezza “non fa sistema” è un paese senza spina dorsale, senza baricentro, senza disegno. E che ha aggravato queste sue caratteristiche negative – addirittura esaltate come “potenzialità” ai tempi in cui gli imbecilli dicevano che “piccolo è bello” - in seguito allo smantellamento delle poche colonne portanti della produzione nazionale, nonché dalla privatizzazione delle banche di “interesse nazionale”. Metafora precisa, quest'ultima, di un paese senza un “interesse nazionale” identificabile; e quindi frantumato in tanti e diversi interessi privati, corporativi, locali, di nessuno spessore progettuale. Di nessuna incidenza sulla scala dimensionale – almeno continentale – su cui si prendono le decisioni vere.

Un paese composto in buona parte di figure sociali con “redditi spurii”, che presentano perciò “identità multiple”. Parliamo di redditi spurii in senso marxiano, non legal-giudiziario. Un mafioso che si arricchisce con il traffico di droga ha un reddito illegale, ma non spurio; la sua identità sociale è chiara anche per lui, non presenta ambiguità e tantomeno tentennamenti. Un pensionato o un lavoratore dipendente (o un piccolo negoziante o una partita Iva) che ha un salario (una pensione o dei ricavi d'attività), e magari “integra” affittando la seconda casa a dei migranti, cui può aggiungere qualche cedola dai Bot o dai fondi comuni di investimento... questo insieme è un reddito spurio, che fa vivere un'identità sociale mutevole e mutante. Che vota in un modo se pensa più all'Imu e in un altro se gli pesano maggiormente addosso le “riforme” Fornero delle pensioni o del mercato del lavoro. Berlusconi o Bersani, dipende da cosa offrono... E il primo sa vendere meglio.


Lo spappolamento sociale – se è ancor vero che “l'essere sociale produce la coscienza” - si è rivelato appieno in questo voto. E non è ricomponibile per via “istituzionale”, mettendo assieme frammenti di rappresentanza politica. Ma è quello che faranno, che sono condannati a fare e che Napolitano cercherà di costringerli a fare. Un “governissimo” pro tempore, per “fare poche cose”, alcune “riforme strutturali che i mercati si attendevano”. E una legge elettorale meno idiota.
Nemmeno il tempo di scriverlo, ed ecco che Berlusconi si mostra disponibile, Bersani zittisce chi pensa a nuove elezioni, Monti tace preparandosi a indicare un nome tra i suoi possibili sostituti.
Insomma: una risposta “normale” a uno smottamento rivoluzionario. Un suicidio al ralentì.


La domanda centrale, decisiva, posta da queste elezioni è soltanto una. E viene posta indirettamente, in ogni talk show, da quanti ci tengono a rappresentare il “senso di responsabilità”: si resta in questa Unione Europea o ci si mette nella prospettiva di uscirne?

Qualsiasi risposta comporterà disastri inenarrabili e un terremoto prolungato nel nostro sistema di vita. “Restare” significa infatti accettare i vincoli del fiscal compact (50 miliardi tagli annuali alla spesa pubblica per i prossimi 20 anni), il pareggio di bilancio (impossibilità di mettere in campo una qualunque politica economica nazionale), la distruzione del “modello sociale europeo”, le allenze militari e i conflitti conseguenti. “Uscirne” significa affrontare le tempeste e la speculazione di mercati finanziari vendicativi, squilibri di grandi dimensioni e senza soluzioni a breve termine, cercando alleati mediterranei e “latini” - al momento in tutt'altre faccende affaccendati - per una zona monetaria “non euro” e non stupidamente nazionalista. Chi si aspetta ricette facili per "rimettere le cose a posto" si rivolga a un predicatore o alla neuro.

Il corpo elettorale italiano, ieri, ha detto al 60% che le “politiche europee”, i diktat della Troika (Ue, Bce, Fmi) non possono essere più accettate. Il problema – gravissimo – è che questo rifiuto è per metà composto di interessi e immaginario reazionari, localistici, “personali”. E per l'altra metà di risposte variamente e soggettivamente “democratiche e popolari”. Ma senza un progetto, un'idea fondante, una visione all'altezza della “tempesta perfetta” che il mondo – non solo l'Italia o l'Europa – sta vendendosi velocemente addensare. Tutto, in teoria, affidato a un'infinita discussione da fare tra soggetti singoli che solo alla fine troveranno il consenso su qualcosa. Ma quel qualcosa, oltre che distillato per via di partecipazione democratica, sarà anche “efficace”? Non ci scommetteremmo. La complessità del mondo reale eccede di gran lunga le competenze individuali non strutturate in “sistema”, sia conoscitivo che “operativo”.


Sul rifiuto di rispondere chiaramente a questa domanda, infine, si è infranto in modo definitivo il "far politica" – proprio della “sinistra radicale” bertinottiana e post-bertinottiana – che avanzava molte e giuste critiche alle politiche europee e/o governative per poi acconciarsi a un'alleanza elettorale con chi rappresenta con assoluta nettezza queste politiche: il Pd. Sappiamo bene che in questo frangente non c'è stato un accordo elettorale in tal senso; ma per gran parte delle piccole forze racchiuse nella “lista Ingroia” (capitanate da Di Pietro, Diliberto, lo stesso Ingroia) ciò è avvenuto solo per il netto rifiuto da parte del Pd, non per una scelta “indipendente”. Una sindrome da “amici traditi” che si è avvertita per tutta la campagna elettorale ed è esplosa nei primi giudizi dopo i risultati.

È finita “la sinistra” discendente dalla cultura del Pci, indecisa via di mezzo tra accettazione dell'ordine capitalistico e tenue aspirazione a smussarne le asperità eccessive. Può non essere un male, se si parte dal rispondere in modo chiaro alla domanda principale. Perché ora questo paese ha davvero preso il “sentiero greco”, e non ci si deve più fidare di nessun “candidato nocchiero” che parte dal desiderio di “normalità”, invece di prendere atto della tempesta in atto. Ci sarà da tremare e lottare, da pensare correndo. 

In tempi rivoluzionari, occorre capire dove si va rompendo la faglia e avanzare proposte altrettanto di rottura. Non abbiamo bisogno di mezze pensate, di vecchi poltronisti, di dottor tentenna. Quel tempo è scaduto.




Dante Barontini -

Entro l'anno crolla tutto.


di Valerio Lo Monaco
L’ultimo Geab (Global Europe Anticipation Bulletin) in ordine di tempo, tra quelli pubblicati periodicamente dal gruppo Leap2020 che abbiamo indicato più volte – e che in genere fa previsioni decisamente ponderate che poi si rivelano giuste – torna a battere su un tema al quale crede ciecamente, non senza ragione, praticamente da sempre: il crollo del Dollaro.
La previsione in questo caso è relativa alla seconda metà del 2013, dunque a una data praticamente dietro l’angolo, e segue la visione generale che accompagna (non solo) i report di questa organizzazione e che vede in una inevitabile “Crisi Sistemica Globale” lo scenario di passaggio tra un prima e il dopo. “Dopo” che, naturalmente, deve essere organizzato su basi completamente nuove.
La parte pubblica del bollettino, che il Geab rilascia gratuitamente e che equivale a circa un decimo di tutto il lavoro presente in ogni studio pubblicato, viene tradotta anche in italiano praticamente un istante dopo il suo rilascio e resa disponibile da molti siti ( qui, ad esempio, la traduzione riportata da Megachip di Giulietto Chiesa). Ed è a questo sito che vi rimandiamo per la lettura della parte free del report.
Le parti più importanti e approfondite del lavoro del Leap2020 sono però ovviamente quelle pubblicate in abbonamento annuale (peraltro costoso: 220 euro l’anno) che qui possiamo sostenere grazie, superfluo forse ribadirlo, ai nostri rispettivi abbonati. Val bene chiarire, anche per interpretare meglio le parti pubbliche del report, che esso, da sempre, si rivolge non tanto, o non solo, a lettori interessati all’argomento, quanto a direttori d’azienda e leader politici. Il piano di analisi – che spesso si spinge persino in veri e propri consigli – è situato dunque al livello dei“decisori” e degli addetti ai lavori, e non tanto alla mera informazione di base. Ciò non toglie, ovviamente, che anche il lettore “educato” a certi temi (e in grado di leggere lingue differenti dall’italiano in cui non è tradotto) non trovi utile questo denso prodotto editoriale.
Per quanto attiene a questo numero in particolare, il 72, uno dei punti cardine di tutto il ragionamento risiede nei cambiamenti fondamentali che stanno avvenendo attorno al petrolio, e al petrodollaro. La notizia più importante è questa: già nel 2005 il consumo di petrolio da parte dei Paesi emergenti ha superato quello dei Paesi occidentali. E oggi questo processo è ancora più avanti, con il contemporaneo clima di sfiducia nei confronti del Dollaro, che è la moneta principale per il commercio dell’oro nero. La cosa ha, e avrà, delle notevoli conseguenze.
Secondo il Leap2020 i problemi legati al petrolio avranno una incidenza moto forte nel “mondo dopo-crisi” che questa organizzazione vede già praticamente dietro l’angolo.
Altro tema, sul quale è il caso di tenere accesa la luce: il Leap2020, da organizzazione profondamente europeista, vede buona parte delle misure prese a livello europeo in seguito alla crisi che stiamo vivendo come una “modernizzazione” adatta a governare le sfide del XXI secolo. Noi siamo di opinione differente, ed è inutile in questa sede spiegarne i motivi visto che ne parliamo praticamente ogni giorno. Ma queste modernizzazioni specificate dal Leap2020 non saranno sufficienti ad affrontare il momento in cui tutto il mondo dovrà prendere coscienza della“tempesta che sta per colpire le valute”. Prima tra tutte, come evento scatenante di non ritorno, appunto, il crollo del Dollaro. Questa situazione, che ripetiamo, il Geab prevede per la seconda metà del 2013, sarà l’elemento chiave attraverso il quale il mondo si dovrà riorganizzare su “basi nuove”, prima tra tutte quella del “nuovo sistema monetario internazionale”.
Sorvoliamo sul fatto che il team di Leap2020, a quanto pare e se non sbagliamo interpretazione, legga tale momento come un evento alla fine dei conti auspicabile – mentre qui, ovviamente, ci battiamo dal punto di vista della sovranità monetaria, dunque per lo svincolo totale da un “sistema internazionale” di controllo. Ma il punto geopolitico ed economico nel quale in ogni caso si arriverà a un passaggio epocale viene pronosticato con dovizia di particolari.
La data chiave più plausibile, secondo il report, è quella del G20 di settembre prossimo che, “si svolgerà nella tempesta, perché ci saranno già state le grandi paure sul Dollaro” che il documento prevede per il periodo marzo-giugno 2013. Se così sarà, dunque, lo scopriremo a breve e ovviamente non tarderemo dal mettere in collegamento gli eventi di cronaca che si potrebbero verificare praticamente da subito, visto che siamo a fine febbraio, con quanto previsto del Geab.
Senza mezzi termini, il report: “stiamo assistendo agli ultimi giorni dei petrodollari, che sono l’elemento chiave della dominazione statunitense”.
E i segnali di questo momento parrebbero inequivocabili: guerre valutarie in atto; indici nazionali degli Stati Uniti; spostamento in là della resa dei conti sul Fiscal Cliff (prossima data di pericolo, maggio 2013); diminuzione del Pil e ricaduta degli Usa nella recessione alla fine di aprile; disordini sociali in aumento.
Conclude il report che è una situazione, questa, alla quale stanno andando incontro diversi Paesi, e lo scenario previsto è quello di una crisi in pieno “stile islandese”: non salvare più le Banche e lasciare che queste falliscano.
Ce ne è abbastanza, insomma, per una vera e propria seconda ondata della crisi sistemica che analizziamo anche noi da ormai cinque anni.
Il dato che emerge (anche da questo report) è nei fatti esattamente cosa sosteniamo da tempo: tutto quanto messo in pratica dallo scoppio della crisi ai giorni nostri è stato irrilevante ai fini di un superamento della stessa. E gli anni recenti di apparente stabilizzazione della situazione, mediante, beninteso, tutte le misure draconiane imposte all’Europa, per quanto ci riguarda, non sono stati affatto come un periodo di contenimento della situazione per prepararsi e gettare le basi per una rinascita. Ma semplicemente un blocco temporaneo del peggioramento, pagato a carissimo prezzo da buona parte dei cittadini di tutto l’Occidente, e in attesa della seconda, inevitabile – e forse finale? – ondata di crisi che si sta per abbattere su tutti noi.




Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle”
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Il Movimento 5 Stelle ha difeso il sistema.


(Laura Lezza, Getty Images)
Adesso che il Movimento 5 stelle sembra aver “fatto il botto” alle elezioni, non crediamo si possa più rinviare una constatazione sull’assenza, sulla mancanza, che il movimento di Grillo e Casaleggio rappresenta e amministra. 
L’M5s amministra la mancanza di movimenti radicali in Italia. C’è uno spazio vuoto che l’M5S occupa… per mantenerlo vuoto.
Nonostante le apparenze e le retoriche rivoluzionarie, crediamo che negli ultimi anni il Movimento 5 stelle sia stato un efficiente difensore dell’esistente. Una forza che ha fatto da “tappo” e stabilizzato il sistema. È un’affermazione controintuitiva, suona assurda, se si guarda solo all’Italia e, soprattutto, ci si ferma alla prima occhiata. Ma come? Grillo stabilizzante? Proprio lui che vuole “mandare a casa la vecchia politica”? Proprio lui che, dicono tutti, si appresta a essere un fattore di ingovernabilità?
Noi crediamo che negli ultimi anni Grillo, nolente o volente, abbia garantito la tenuta del sistema.
Negli ultimi tre anni, mentre negli altri paesi euromediterranei e in generale in occidente si estendevano e in alcuni casi si radicavano movimenti inequivocabilmente antiausterity e antiliberisti, qui da noi non è successo. Ci sono sì state lotte importanti, ma sono rimaste confinate in territori ristretti oppure sono durate poco. Tanti fuochi di paglia, ma nessuna scintilla ha incendiato la prateria, come invece è accaduto altrove. Niente indignados, da noi; niente #Occupy; niente “primavere” di alcun genere; niente “Je lutte des classes” contro la riforma delle pensioni.
Non abbiamo avuto una piazza Tahrir, non abbiamo avuto una Puerta de Sol, non abbiamo avuto una piazza Syntagma. Non abbiamo combattuto come si è combattuto – e in certi casi tuttora si combatte – altrove. Perché?
I motivi sono diversi, ma oggi vogliamo ipotizzarne uno solo. Forse non è il principale, ma crediamo abbia un certo rilievo.
Da noi, una grossa quota di “indignazione” è stata intercettata e organizzata da Grillo e Casaleggio – due ricchi sessantenni provenienti dalle industrie dell’entertainment e del marketing – in un franchise politico/aziendale con tanto di copyright e trademark, un “movimento” rigidamente controllato e mobilitato da un vertice, che raccatta e ripropone rivendicazioni e parole d’ordine dei movimenti sociali, ma le mescola ad apologie del capitalismo “sano” e a discorsi superficiali incentrati sull’onestà del singolo politico/amministratore, in un programma confusionista dove coesistono proposte liberiste e antiliberiste, centraliste e federaliste, libertarie e forcaiole. Un programma passepartout e “dove prendo prendo”, tipico di un movimento diversivo.
Fateci caso: l’M5s separa il mondo tra un “noi” e un “loro” in modo completamente diverso da quello dei movimenti di cui sopra.
Quando #Occupy ha proposto la separazione tra 1 e 99 per cento della società, si riferiva alla distribuzione della ricchezza, andando dritta al punto della disuguaglianza: l’1 per cento sono i multimilionari. Se lo avesse conosciuto, #Occupy ci avrebbe messo anche Grillo. In Italia, Grillo fa parte dell’1 per cento.
Quando il movimento spagnolo riprende il grido dei cacerolazos argentini “Que se vayan todos!”, non si sta riferendo solo alla “casta”, e non sta implicitamente aggiungendo “Andiamo noi al posto loro”.
Sta rivendicando l’autorganizzazione autogestione sociale: proviamo a fare il più possibile senza di loro, inventiamo nuove forme, nei quartieri, sui posti di lavoro, nelle università. E non sono le fesserie tecnofeticistiche grilline, le montagne di retorica che danno alla luce piccoli roditori tipo le “parlamentarie”: sono pratiche radicali, mettersi insieme per difendere le comunità di esclusi, impedire fisicamente sfratti e pignoramenti eccetera.
Tra quelli che “se ne devono andare”, gli spagnoli includerebbero anche Grillo e Casaleggio (inconcepibile un movimento comandato da un milionario e da un’azienda di pubblicità!), e anche quel Pizzarotti che a Parma da mesi gestisce l’austerity e si rimangia le roboanti promesse elettorali una dopo l’altra.
Ora che il grillismo entra in parlamento, votato come extrema ratio da milioni di persone che giustamente hanno trovato disgustose o comunque irricevibili le altre offerte politiche, termina una fase e ne comincia un’altra. L’unico modo per saper leggere la fase che inizia, è comprendere quale sia stato il ruolo di Grillo e Casaleggio nella fase che termina. Per molti, si sono comportati da incendiari. Per noi, hanno avuto la funzione di pompieri.
Può un movimento nato come diversivo diventare un movimento radicale che punta a questioni cruciali e dirimenti e divide il “noi” dal “loro” lungo le giuste linee di frattura?
Perché accada, deve prima accadere altro. Deve verificarsi un Evento che introduca una discontinuità, una spaccatura (o più spaccature) dentro quel movimento. In parole povere: il grillismo dovrebbe sfuggire alla “cattura” di Grillo. Finora non è successo, ed è difficile che succeda ora. Ma non impossibile. Noi come sempre, “tifiamo rivolta”. Anche dentro il Movimento 5 stelle.
Questo articolo di Wu Ming è stato pubblicato per la prima volta nel nostro live blog il 25 febbraio.
    fonte: 
http://www.internazionale.it/news/italia/2013/02/26/il-movimento-5-stelle-ha-difeso-il-sistema-2/

Altro che smacchiare giaguari.


di Francesco Salistrari.

Ancora una volta il PD si è suicidato.
Un'analisi di questi dati elettorali non può prescindere da questa prima considerazione.
Un partito che solo un anno e mezzo fa avrebbe STRAVINTO le elezioni contro un Berlusconi allo stremo e un Grillo ancora in fase di assestamento, decide invece “per il bene del paese” di appoggiare un governo reazionario e sponsorizzato dagli interessi delle banche come quello di Monti, garantendo l'appoggio pieno e incondizionato alla macelleria sociale di cui i benemeriti “tecnici” si sono resi protagonisti.
PD, due lettere che si trovano anche nella parola PerDenti. Alla luce di questi risultati, infatti, salta all'occhio la completa incapacità di leggere la situazione politica del paese e di pesare nei consessi internazionali (leggasi Europa) tanto da imporsi come la forza di governo di un paese come l'Italia.
Ora appare veramente triste da parte di Bersani e “compagni” piangere sul latte versato, distrutti politicamente da un Movimento nato appena 3 anni fa e dal ritorno del “Giaguaro” che altro che farsi smacchiare, ha azzannato ancora una volta.
“Per il bene del paese” ora ci troviamo in una situazione di perfetta ingovernabilità e a gioire realmente di questi risultati elettorali non sarà certo il popolo italiano, bensì squali e squaletti della finanza che con la scusa dello spread succhieranno un altro bel pacco di miliardi dalle finanze dello Stato, favorendo, tra le altre cose, la “corsa” alla “grande coalizione” o ad un altro governo tecnico (o “programmatico”, o delle “larghe intese”, o che “faccia le riforme, soprattutto quella elettorale”) tanto più gradito in Europa.
E non veniamoci a raccontare la BALLA dell' “eravamo sull'orlo del baratro per colpa di Berlusconi”, perchè solo qualche giorno dopo la caduta del “Giaguaro” la BCE dava avvio alla operazione LTRO (Long Term Refinancing Operation) con cui avrebbe calmierato gli spread dei paesi in difficoltà, il che ci fa capire molto semplicemente come un'operazione eminentemente finanziario-monetaria avrebbe potuto mettere a posto le cose senza per questo “commissariare” un paese. Il fatto che il Berlusca e soprattutto Tremonti non fossero tanto inclini ad approvare le linee della “lettera-memorandum” della BCE all'Italia, mise le istituzioni europee, di fronte all'evenienza del crollo della moneta unica (se crolla l'Italia ciao ciao euro!), nella condizione obbligata di “forzare la mano” sul governo italiano e sostituirlo con uno di “fiducia” (Monti ex Goldman Sachs, ex commissario europeo, ex presidente della Commissione Trilaterale).
E' proprio a questo punto che un partito serio, sarebbe dovuto intervenire. Perchè se il PD fosse un partito serio ed il suo leader un personaggio politico di una qualche influenza concreta (aldilà dell'orticello emiliano), avrebbe dovuto convincere chi conta davvero in Europa ad effettuare le operazioni necessarie a calmierare gli spread (LTRO della BCE) ANCHE in presenza di situazione elettorale. Caduto Berlusconi, la richiesta sarebbe dovuta essere: Elezioni Subito!
Le pressioni internazionali che un Partito serio avrebbe dovuto fare, stante la vittoria elettorale già acquisita (i sondaggi dell'epoca davano il PD stradominante a sfiorare il 40% dei consensi), sarebbero dovute essere concentrate proprio su questo.
Ma il PD, di fronte alle misure draconiane che chiedeva l'Europa, semplicemente non se l'è sentita di assumersi il compito di guidare un governo che avrebbe dovuto fare la politica di Monti e pertanto si è limitato ad appoggiare il governo “tecnico” evitando di assumersi esplicitamente la responsabilità di fronte al popolo italiano del massacro sociale imposto dal grande “sogno europeo”, sperando così di vincere poi oggi, a queste elezioni, a man bassa contro un Centro-Destra ormai allo sbando e un Grillo non così preoccupante (!!!).
Calcoli sbagliati? Non solo. La verità probabilmente è che l'Italia ormai non ha più possibilità di implementare politiche autonome rispetto all'Europa e la riprova è che di fronte ad una coalizione larga come quella che ha sostenuto Monti tra la riforma del lavoro e delle pensioni (leggasi massacro sociale delle fasce deboli della popolazione e dei giovani) sono passati in sordina (e votati da tutti) Fiscal Compact e MES, due strumenti fortemente voluti dalle elites europee e che determineranno la politica economica del nostro paese nei decenni a venire.
Questo ci porta alla considerazione amara di una classe dirigente di sinistra (oggi più che mai incarnata da questo PD, vista la “fine” di Vendola e della c.d. “sinistra radicale”) completamente incapace di imporsi sul panorama europeo con una politica capace di tutelare almeno lontanamente le prerogative nazionali e del proprio popolo e completamente incapace a vincere sul terreno delle idee, dei contenuti e delle proposte (seppur blande) contro il fronte del populismo demagogico del solito intramontabile e invincibile Berlusconi e intercettare in qualche modo il malcontento montante e straripante che invece ingrossa i consensi di Grillo.
Un partito che si dice ultraeropeista convinto e che non ha nemmeno uno straccio di proposta di riforma europea, considerata l'oggettiva asimmetria di questa Europa che schiaccia i paesi più deboli, ferma la crescita, ingigantisce la crisi sociale, taglia diritti e tutele, smantella il welfare, uccide aziende e agricoltura, aumenta la disoccupazione (sarebbe questo il sogno della sinistra europea? L'Europa dei popoli? Ma per piacere!).
Ecco che allora non devono stupire i risultati elettorali. Ecco che allora non può stupire come un Berlusconi con due trovate demagogiche a momenti rivince le elezioni. Ecco che allora non deve stupire un fenomeno come quello del Movimento 5 Stelle che è l'autentico vincitore delle elezioni e che porterà in Parlamento una serie di persone che non hanno mai messo piede nelle istituzioni, incensurate, oneste, giovani.
E la sinistra italiana, ormai senza identità culturale e sociale, viene letteralmente travolta da una richiesta radicale (in questo ha perfettamente ragione Vendola) che sale dal paese, dalle viscere di un'Italia piegata da austerity, mafia, ruberie, corruzione, disoccupazione, disperazione, povertà.
Di cosa ha cianciato la classe dirigente del PD in questa campagna elettorale, convinta di avere la vittoria in tasca o quantomeno di accontentarsi di un accordo post-elettorale con Monti? Quali le parole e i programmi veramente di sinistra che avrebbero potuto intercettare quel malcontento popolare che o si è riversato su Grillo o non è andato a votare? Come si può pretendere di scrivere un programma che nei suoi punti principali ricalca pedissequamente le “direttive” europee (scuola, sanità, mercato del lavoro, fiscalità ecc.) e pretendere di vincere? Diciamocelo, ma i dirigenti del PD fanno sul serio? Credono davvero a quello che dicono?
O speravano davvero che la “mossa” della “salita” in politica del “prof” Monti potesse sbarazzare il campo da Berlusconi?
Cecità politica e incompetenza. Subordinazione e vuoto culturale e politico. Sono questi i termini su cui tutto il PD, a cominciare dal gruppo dirigente (di cui la base dovrebbe chiedere le dimissioni in blocco immediatamente), dovrebbe riflettere.
Grillo vince.
Si, vince. A man bassa. Hanno ragione i “grillini” a rimandare al mittente la battuta sul “boom” alle precedenti regionali siciliane, perchè voglia o non voglia, il filoatlantico massone Giorgio Napolitano, deve ammettere che il “Boom” di Grillo non solo c'è stato, ma ha dimostrato che ormai l'Italia ha davvero bisogno (se ci fossero ancora dubbi )di una nuova classe dirigente, a tutti i livelli, giovane, onesta, libera da influenze funeste, che sappia davvero lavorare per il bene di questo paese.
Ci troviamo ora in una situazione di ingovernabilità che sapranno sfruttare solo gli squali della finanza, la speculazione, che aumenterà gli interessi sul debito strozzando ancora di più il paese e l'unica possibilità praticabile è, concretamente, un “inciucio” da grande coalizione, la bella ammucchiata, che traghetterà il paese in una nuova fase dove si sentiranno pesanti gli effetti delle manovre sociali ed economiche di Monti, del Fiscal Compact (un autentico suicidio economico per l'Italia) e della crisi mondiale (crescita zero).
Prospettive? Nere.
Queste elezioni ci dicono che l'Italia o cambia rotta davvero, o sarà declino assicurato.
Che la sinistra ritorni a fare la sinistra. Che dialoghi con il Movimento Cinque Stelle sui contenuti, sulle proposte, sui programmi. Che faccia ammenda di vent'anni di inciucio e di subordinazione ai poteri forti. Che si dichiari pronta a ridiscutere la nostra permanenza in questa Europa e nell'Euro.
Che sia capace non di smacchiare giaguari immaginari, ma se stessa da vent'anni di incapacità e di deserto culturale.

venerdì 22 febbraio 2013

La moneta unica è un Soviet.


Per il Nobel Milton Friedman, l'euro e' un progetto dirigista e pericoloso "Francoforte e Bruxelles prenderanno il posto del mercato" La moneta unica e' un soviet Europei, sperate nella sorte. Il Purgatorio di cui parla il Governatore Fazio, altrimenti, passera' per un villaggio vacanze. E la vostra valuta unica vi torturera' come il tridente del Maligno. Milton Friedman, che non e' diventato il grande saggio della moneta della seconda meta' del secolo perche' cammina sui gusci d'uovo, non parla per tenere alti gli animi. E' il concentrato del radicalismo: per l'euro di Kohl e Mitterrand, sul quale l'Europa si sta dannando l'anima, non ha un grammo di benevolenza, lo fa a pezzi. Lo considera un progetto "elitario, antidemocratico e dirigista" e quindi esposto a pagare il prezzo delle sue caratteristiche. Da questa parte dell'Atlantico, faremmo bene a sperare in una stella in piu' sulla bandiera d'Europa. Sara' quella che conta. Se non sara' assistito da una gran fortuna, il caro Vecchio continente rischia un capitombolo mai visto dalla vetta della moneta unica che sta innalzando. Friedman, 86 anni, padre del liberismo moderno, Premio Nobel, anima e mente della Scuola di Chicago e del monetarismo, Nemico Numero Uno della sinistra del pianeta, e' probabilmente l'economista vivente piu' rilevante, di sicuro il conoscitore massimo della moneta e dei suoi labirinti. Oggi vive in California, insegna alla Stanford University, e' senior research fellow della Hoover Institution. In questi giorni e' a Sea Ranch, sulla costa dell'oceano, dalla sua casa allunga lo sguardo sul Pacifico ed e' piu' che mai dell'opinione che l'Unione monetaria sia un'assurdita' che peggiorera' i problemi dell'Europa e ridurra' la liberta' di mercato. Beh, come minimo e' un esperimento interessante. "Interessante da osservare. Ma non sara' di certo quel tipo di benedizione che vorrebbero far credere. Niente di sbagliato, in generale, a volere un'unione monetaria. Ma in Europa c'e' gia' ed e' quella esistente di fatto tra Germania, Austria e Paesi del Benelux. Niente vieta che, se ci tiene, l'Italia aderisca a quella. Il resto e' una costruzione non democratica". Perche' non democratica? "Il progetto generale non lo e'. Ovviamente, perche' non e' quello che vogliono i cittadini. Se la popolazione tedesca votasse, il progetto sarebbe sconfitto. E lo stesso accadrebbe in molti altri Paesi. L'Unione monetaria e' il prodotto di una elite. E' il frutto di una impostazione non realistica, di una spinta elitaria di chi vuole usare la moneta unica per arrivare all'unione politica. Pensiamo davvero che Kohl oggi e Mitterrand in passato siano stati sostenuti da un desiderio di unita' economica? No, il loro obiettivo primario era politico, mettere assieme Francia e Germania per evitare guerre future. Gli Stati Uniti d'Europa sono una componente essenziale del progetto monetario". Ed e' un errore? "E' una visione sbagliata. Piu' che unire, la moneta unica crea problemi e divide. Sposta in politica anche quelle che sono questioni economiche. La conseguenza piu' seria, pero', e' che l'euro costituisce un passo per un sempre maggiore ruolo di regolazione da parte di Bruxelles. Una centralizzazione burocratica sempre piu' accentuata. Le motivazioni profonde di chi guida questo progetto e pensa che lo guidera' in futuro vanno in questa direzione dirigista. E' una tendenza che c'e' da 15 anni, contro la quale, per esempio, ebbe modo di combattere Margaret Thatcher". Pensa che sara' anche un fallimento? "Spero di sbagliarmi, perche' un'Europa di successo e' nell'interesse sia degli europei che degli americani. Ma non vedo la flessibilita' dell'economia e dei salari e l'omogeneita' necessaria tra i diversi Paesi perche' sia un successo. Se l'Europa sara' fortunata e per un lungo periodo non subira' shock esterni, se sara' fortunata e i cittadini si adatteranno alla nuova realta', se sara' fortunata e l'economia diventera' flessibile e deregolata, allora tra 15 o 20 anni raccoglieremo i frutti dati dalla bendizione di un fatto positivo. Altrimenti sara' una fonte di guai". Cosa prevede succedera'? "Una riduzione della liberta' di mercato. A Francoforte siedera' un gruppo di banchieri centrali che decidera' i tassi d'interesse centralmente. Finora, le economie, come quella italiana, avevano una serie di liberta', fino a quella di lasciar muovere il tasso di cambio della moneta. Ora, non avranno piu' quell'opzione. L'unica opzione che resta e' quella di fare pressione sulla Ue a Bruxelles perche' fornisca assistenza di bilancio e sulla Banca centrale europea a Francoforte perche' faccia una politica monetaria favorevole. Aumenta cioe' il peso dei governi e delle burocrazie e diminuisce quello del mercato. Sarebbe meglio fare come alla fine del secolo scorso, quando, col Gold Standard, l'Europa aveva gia' una moneta unica, l'oro: col vantaggio che non aveva bisogno di una banca centrale". A proposito, che approccio crede prendera' la Banca centrale europea? Riuscira' a controllare la massa monetaria? "No, non c'e' dubbio, non possono partire con un obiettivo monetario in un'area cosi' ampia e non conosciuta. Si daranno un target di inflazione e per di piu' non esplicito: non stabiliranno un meccanismo automatico ma manterranno una grande discrezionalita' di scelte. Come fanno oggi la Bundesbank e la Banque de France con i tassi d'interesse a breve. Sara' interessante, dal punto di vista degli studiosi". Tornando agli effetti dell'euro, pensa che l'Unione monetaria possa, in certe circostanze, rompersi? "Difficile. E' possibile ma non probabile. Se coloro che la vogliono arriveranno al punto di farla, e' difficile che poi salti. Anche se e' gia' successo in passato che un'area monetaria si sia divisa in parti. Certo dovrebbe essere il risultato di una crisi, un forte atto politico". Con conseguenze negative anche sul mercato unico? "Impossibile da prevedere. Quello che c'e' da dire sul mercato unico, piuttosto, e' che e' reso piu' complicato proprio dall'Unione monetaria che rende piu' difficili le reazioni delle economie, toglie loro strumenti e le rende piu' dipendenti dalle burocrazie". L'euro sara' una minaccia per l'egemonia del dollaro? "Non lo so per certo. Scommetterei pero' che non lo sara'. Nell'uso delle valute, c'e' molta inerzia di comportamenti. Come minimo, ci vorra' tempo prima che l'euro si affermi. Da una moneta, la gente si aspetta stabilita': solo se sara' un successo in Europa e manterra' l'inflazione bassa, potra' dare fiducia a livello internazionale. Ma l'euro non sara' un'alternativa improvvisa al dollaro. E se anche l'euro lo sfidera', non sara' un gande problema per gli Stati Uniti: avere una valuta internazionale non e' poi quel gran vantaggio". E per i cittadini europei? sara' una transizione difficile? "Sara' molto difficile da capire. In Francia, ci sono voluti decenni per fare entrare nella mente della gente il passaggio dal franco vecchio a quello nuovo. Il denaro e' qualcosa che diventa una parte di base del pensiero, un'idea. Nella percezione, il tuo denaro e' denaro, con un suo valore, quello degli altri Paesi e' carta. Anche questo porta a chiedere se il passaggio alla moneta unica europea e' democratico. Non credo che i cittadini lo ameranno". Fatto sta che con questo progetto gli europei hanno ridotto i deficit pubblici e si sono messi sulla strada degli Stati Uniti che pareggeranno il bilancio il prossimo anno, o forse gia' nel '98. "Questa e' proprio un'idea sbagliata, non e' la vera questione. A parte che i conti pubblici li aggiusti come credi, la verita' e' che il debito americano continua a crescere a causa di poste non finanziate, come la sicurezza sociale e le pensioni. La chiave non e' questa: quello che conta e' la frazione di Prodotto lordo che si prende lo Stato. E oggi questo e' sempre piu' intrusivo anche in America: pesa ormai per il 40 % del Pil. Se si includono le regolazioni e gli affari indotti dal governo, arriviamo a un altro 10 % in piu'. In Europa e' peggio: in alcuni Paesi arriviamo a superare il 50 e il 60 % . Il fenomeno straordinario e' che sia in America che in Europa le economie siano riuscite a funzionare decentemente e i cittadini riescano a vivere bene con una porzione di economia libera dallo Stato che e' solo la meta' del totale negli Stati Uniti e il 35 % in Europa". Dunque la vera riforma e' il taglio delle spese pubbliche. "Certo, ma c'e' un solo modo per farla: tagliare le tasse. Lo Stato tende a spendere tutto quello che entra in cassa piu' tutto quello che puo' aggiungere in qualche modo. Percio' occorre tagliare le entrate. Come ai bambini: devi dare loro meno denaro. Quest'ultima e' un po' un'esagerazione ma da' l'esempio generale". L'economia americana, comunque, e' in boom. "Le radici di questa crescita stanno in due realta'. Primo, negli anni di Ronald Reagan, quando il peso dello Stato inizio' a calare: purtroppo, con George Bush e Bill Clinton e' tornato a crescere. Secondo, nella politica monetaria di Alan Greenspan. In termini generali, io sarei per eliminare la banca centrale. Detto questo, considero Greenspan il miglior governatore che la Federal Reserve abbia avuto da quando esiste. Finora, almeno. Il che non vuole dire che sara' sempre cosi'. Adesso, per esempio, vedo nella situazione monetaria americana tendenze all'aumento dell'inflazione, dal 2 verso il 4 % : sarebbe il caso di avere una politica meno espansiva". Una cosa bella dei grandi vecchi e' che spesso riescono a viaggiare controcorrente.
Taino Danilo
Pagina 3
(23 marzo 1998) - Corriere della Sera

Bersani e la sua lotta al contante: una pura follia.


di Paolo Cardenà.

Non costituisce  una novità sapere  che buona parte del  mondo politico stia conducendo  una crociata contro l'utilizzo del contante. Bersani, in particolar modo,  ogni giorno che passa, rilancia sempre di più nella sua ipotesi di limitarne l'utilizzo del contante, e con esso anche la libertà di spesa dei contribuenti italiani.

Qualche sera fa, a Porta a Porta, proprio Bersani ha ribadito  che, qualora  eletto, intende promuovere una battaglia senza quartiere all’evasione fiscale, vedendo nella limitazione dell’utilizzo del contante, il mezzo per raggiungere questo fine. In particolare, la soglia di utilizzo del contante verrebbe ridotta a 300 euro, salvo poi ulteriori riduzioni.
Secondo questa tesi, siccome la limitazione dell’utilizzo del denaro contante colpirebbe l’intera collettività,  ogni individuo, sarebbe un possibile evasore fiscale, o quantomeno complice di chi commette l’effettivo reato di evasione e che ne trae il maggior vantaggio. Ma le cose, notoriamente, non stanno in questi termini, ovviamente.

Sempre secondo Bersani, abbattere l’utilizzo del contante o addirittura eliminarlo del tutto costituisce, quindi,  il mezzo più esperibile per contrastare l’evasione. E anche questo, costituisce  una grande menzogna.

Le esperienze degli altri Paesi in giro per mondo particolarmente  virtuosi nel contrasto all’evasione, smentiscono questa tesi. Nel contesto europeo, ad esempio, esistono Paesi che, pur non avendo una normativa oppressiva nei confronti dell’utilizzo del contante, risultano ugualmente eccellenti sui livelli di fedeltà  fiscale, incomparabili con quelli rilevati al contesto italiano.

Da ciò se ne deduce che il  mantra secondo cui la lotta all’evasione fiscale si debba condurre limitando l’utilizzo del contante, è del tutto infondato nei fatti.

Quanto affermato da Bersani, parte da un presupposto del tutto errato, poiché ritiene che colpendo la possibilità di utilizzo del contante, si finisca per colpire anche l'evasione fiscale. Ciò, evidentemente,  verrebbe fatto senza  comunque rimuovere i prodromi che la determinano. 

Ma di questo parleremo tra poco.

Il fatto è che questo teorema, oltre a non essere  vero, tende a nascondere le reali motivazioni per le quali Bersani intende ridurre l'utilizzo del contante, che sarebbero quelle di concedere un grande aiuto alle banche e al contempo avere il controllo sull'intera popolazione, creando milioni e milioni di sospettati possibili evasori.

Il motivo è  molto semplice: le banche sono senza soldi, e quindi potenzialmente insolventi. E' evidente che se tutti i risparmiatori andassero in banca e chiedessero di riavere i loro soldi depositati, non ce ne sarebbero abbastanza. Quindi, come già abbiamo avuto modo di discutere in un altro articolo, con un provvedimento normativo, verrebbe eliminato del tutto il vero incubo dei banchieri: la cosa agli sportelli. Ma c'è di più. Le banche, oltre a lucrare le commissioni sulle transazioni che verrebbero effettuate con moneta elettronica, di colpo si troverebbero con una drastica riduzione dei costi necessari per la gestione del contante, quelli del personale compresi. Una vera e propria manna per il sistema bancario.

C'è da dire che il quadro di riferimento della normativa fiscale entro il quale Bersani vorrebbe eliminare il contante, desta molta preoccupazione circa la deriva che potrebbe avere questo pensiero antievasione, che rischierebbe di sfociare in un vero e proprio stato di polizia tributaria, molto più coercitivo rispetto a quello attuale.

Ne costituisce una prova evidente, i metodi con cui il fisco procede ad accertare e a riscuotere la pretesa tributaria, non sempre legittima.

Come noto, gli interventi degli ultimi governi hanno  potenziato di molto le armi a disposizione del fisco e di Equitalia per accertare e riscuotere i tributi. Solo per citare un esempio, nell'ambito del nuovo redditometro recentemente approvato,  è stata prevista l'inversione dell'onere delle prova. In buona sostanza, secondo tale impostazione,  in caso di accertamento, dovrà essere il contribuente a dimostrare al fisco la provenienza "legittima" delle risorse con le quali egli ha proceduto ad effettuare determinati acquisti.

E già questo, di per se,  pone il contribuente in un situazione di debolezza nei confronti del fisco. In pratica, laddove il contribuente non risulti sufficientemente convincente con gli ispettori del fisco, benché la pretesa tributaria possa risultare del tutto infondata, non avrà altra possibilità che ricorrere ai giudici tributari per far valere le proprie ragioni. Ma potrà farlo solo dopo aver pagato un terzo delle imposte rivendicate dal fisco, in maniera più o meno legittima . 

Oltre a questo, dovrà pagarsi un buon difensore (sempre che ne abbia la possibilità) e sostenere tutti gli oneri per un processo tributario che durerà anni, se non decenni.  Questo, se un soggetto ha la possibilità (anche economica) di potersi difendere. 

In caso di impossibilità a difendersi o di soccombenza in primo grado giudizio, ammesso che si abbia la possibilità di ricorrere in appello e ottenere giustizia (forse) dopo svariati anni, Equitalia (creata da Bersani e qui potete leggere come) può fin da subito aggredire il patrimonio (laddove esista) del contribuente, oppure  pignorarne il conto corrente dove, per imposizione normativa,  si sono dovute depositare le proprie sostanze liquide. 

In questo caso, in pratica, il cittadino verrebbe inibito  dalla possibilità di effettuare qualsiasi tipo di spesa, comprese quelle alimentari e/o di sostentamento. Questa sarebbe una vera e propria  dittatura tributaria, posta in essere senza aver rimosso le ragioni fondanti dell'evasione fiscale.

Più volte abbiamo discusso dell'oppressione fiscale di questo Paese, sia in termini di procedure di contrasto all'evasione, che di livello della pressione fiscale. Elementi, questi, che contribuiscono a rendere l'Italia uno dei paesi meno competitivi a livello planetario e che, ritengo, siano propedeutici al fallimento che stiamo vivendo. 

In effetti, se andassimo a verificare il tessuto  della normativa fiscale sul quale lo Stato pone  la sua pretesa tributaria, ci accorgeremmo subito che è una normativa degna di uno stato fallito, quale è l'Italia. Oltre al tema del livello della pressione fiscale che non ha eguali nel contesto mondiale, subito ci accorgeremmo che l'impianto normativo è una raccolta di norme per nulla omogenee, disorganiche, talvolta contraddittorie e per nulla attinenti allo sviluppo del contesto economico e sociale intervenuto nel paese nell'ultimo trentennio. 

In pratica, sono norme appiccicate l'una alle altre, senza alcuna soluzione di continuità e formulate non in base ad una visione strategica della società, dell'economia e più in generale della nazione; ma dallo stato di necessità delle finanze pubbliche, che negli ultimi decenni, sostanzialmente, hanno sempre espresso crescenti necessità di flussi finanziari (tasse) fino ad arrivare, negli ultimi anni,  a toccare il punto di non ritorno.

In pratica, il (non) senso  osservato dal legislatore  in questo lungo periodo, sostanzialmente, è stato questo: mancano dei soldi? 

Bene, procediamo inasprendo la pressione fiscale e facciamo cassa con l’introduzione di nuove imposte o, molto più semplicemente, inasprendo quelle già esistenti. 

Questo, in buona sostanza è stato il criterio ispiratore di tutte le manovre fiscali che si sono varate in quasi un trentennio, trascurando del tutto gli effetti nefasti che questo modus operandi avrebbe prodotto. 

Ecco quindi che sono state introdotte un numero elevatissimo di imposte, tributi e adempimenti, proprio al fine di colpire nuova materia imponibili e, talune imposte, sono delle vere e proprie stranezze. 

Un normativa fiscale in perpetuo mutamento, oltre a disorientare il contribuente ed esporlo ad una crescente possibilità di cadere nell’errore, sempre pronto ad essere sanzionato, compromette anche la possibilità da parte degli operatori economici, di  effettuare una pianificazione fiscale delle proprie attività scoraggiando gli investimenti. 

Nell’ultimo periodo, ne costituisce un esempio clamoroso l’atteggiamento adottato dal legislatore nel limitare la deducibilità dei costi attinenti ai veicoli aziendali, che è passata dal 50% di pochi anni fa, al 20% attuale. 

In questo caso, tale limitazione è stata introdotta senza alcun criterio logico e tantomeno pertinente con il reale utilizzo delle autovetture all’interno dell’azienda, con il solo fine di limitare la possibilità di dedurre costi (delle autovetture, in questo caso) e quindi avere maggiore materia imponibile da colpire. 

Trascurando il fatto che una minore possibilità di dedurre il costo delle autovetture, si traduce anche in un disincentivo all’acquisto di tali beni, rischiando di soffocare un mercato già in agonia, vale la pena segnalare che questo non è l’unico esempio al quale possiamo far riferimento. 

Ritornando al nostro ragionamento, introdurre un numero elevatissimo di imposte, significa anche dover produrre altrettanti adempimenti amministrativi a carico di quei soggetti obbligati al pagamento dei tributi: ossia le imprese e le famiglie. 

Quindi, questi, oltre a patire l'impatto  vessatorio dei tributi pretesi dalla stato, subiscono anche un aggravio di costi amministrativi sia per la determinazione delle imposte da pagare, sia per la gestione amministrativa del rapporto fisco contribuente, che si sostanzia in un numero sempre crescente di adempimenti dichiarativi da svolgere e di comunicazione talvolta al limite del ridicolo. 

Da questo punto di vista, in definitiva, possiamo affermare che si è arrivati ad un livello insostenibile di  prelievo fiscale e con essa anche ad livelli altrettanto alti di adempimenti fiscali e amministrativi, proprio al fine di offrire alle casse dello stato un gettito sempre crescente e apparentemente idoneo al mantenimento di una apparato statale degno di uno stato Bolscevico. 

Per contro, gli effetti nefasti della crescente pressione fiscale, non  sono stati affatto compensati con l’erogazione di servizi di crescente qualità (scuola, sanità, strade, infrastrutture, servizi sociali, burocrazia ecc. ecc.). Anzi, potremmo agevolmente  affermare l’esatto contrario, vista la pessima qualità con la quale lo Stato, il più delle volte, eroga i servizi alla popolazione. 

L’evasione fiscale a cui e si sta giustamente dichiarando guerra, trova terreno fertile proprio in un  quadro normativo di questo genere che, a parer di chi scrive, dovrebbe essere profondamente riformato e reso sinergico ed aderente alle mutate condizioni economiche, sociali e culturali intervenute nel corso di questi anni, senza dimenticare la proiezione strategica della nazione per i prossimi 20/30 anni o forse più.

Ecco quindi la necessità di dover adottare un impianto normativo stabile, facilmente comprensibile, che consenta di  tagliare il numero degli adempimenti e instaurando un rapporto di fiducia tra il Fisco e il contribuente, ormai  venuto meno, e rimuovere l’ostilità dilagante nei rapporti tra gli organi preposti alla pretesa tributaria e il cittadino, creando anche le condizioni per un maggior senso civico. 

Questo, unitamente ad una preventiva diminuzione della spesa pubblica, e riducendo in maniera sistematica e ragionevole la pressione fiscale tramite un preventivo calo dell’inefficienza pubblica, consentirebbe anche una sistematica riduzione della pressione fiscale, posizionandola verso livelli di maggiore sostenibilità.

Semmai ce ne fosse bisogno, giova ricordare che ad indignare il contribuente e a stimolare l’infedeltà fiscale, contribuisce  anche lo squallore di cui la nostra classe politica si rende quotidianamente protagonista.

Le cronache giornaliere ci raccontano di ruberie, tangenti, corruzione e privilegi sfrenati; di abusi e soprusi, perpetrati da una casta  di potere che trae, più o meno indirettamente, vantaggio dalla spremitura fiscale di chi lavora onestamente e produce e crea ricchezza. Comportamenti che, oltre ad incorporare elementi di criminalità, non offrendo  esempio di onestà e di sobrietà, risultano in netto contrasto con il ruolo esemplare a cui i nostri miserabili politici dovrebbero naturalmente confermarsi.

Senza poi considerare le migliaia di opere pubbliche presenti nel nostro paese, avviate, la maggior parte delle volte, per esigenze clientelari e poi neanche concluse. Opere che raccontano di storie di tangenti, di corruzione, di criminalità, di mafie e del malaffare diffuso al servizio della politica per comprare consensi elettorali. Miliardi di euro andati letteralmente in fumo.

E’ evidente che ogni contribuente, trovandosi dinanzi a un simile  scempio e a tanto spreco, si interroghi sull’opportunità o meno di pagare tasse proibitive, sapendo dell’uso che verrà fatto dei propri sacrifici.

L’anatema secondo il quale un abbattimento della soglia di utilizzo del contante nelle transazioni commerciali, o addirittura, la totale eliminazione, possa costituire  elemento idoneo a contrastare l’evasione fiscale, costituisce un vero e proprio  veicolo propagandistico con il quale i politici tendono ad occultare i propri insuccessi.

Il messaggio che si vuole offrire è quello di ribaltare le responsabilità del fallimento di questa politica che sta conducendo la nazione in bancarotta, proprio sul contribuente presunto evasore. L’Italia fallisce per colpa degli evasori. In buona sostanza è proprio questo il senso di tanti spot propagandistici. 

Quando si parla di fenomeni evasivi, erroneamente, si tende a riferirsi all’evasione posta in essere dal piccolo commerciante che non emetterebbe lo scontrino fiscale. Noi non volgiamo asserire che ciò non sia vero e che non costituisca un problema. 

Ma giova ricordare che per effetto dell’applicazione degli studi di settore, un ampia platea di imprese di piccole e medi dimensione (sommariamente quelle che il fisco individua con fatturati fino a 7,5 milioni di euro, oltre ad altri parametri) determinano il proprio reddito prescindendo dall’effettiva realizzazione. In pratica, tramite questi strumenti statistici che propongono livelli di redditività di un'azienda in base a numerosi parametri di riferimento, il fisco stabilisce quali debbano essere i ricavi ritenuti “congrui e coerenti” per una determinata tipologia di attività, a prescindere dal fatto che i ricavi individuati da tale strumento statistico, siano stati o meno realmente utilizzati. 

In buona sostanza, un imprenditore, durante il periodo di imposta, potrebbe porre in essere pratiche evasive, salvo poi dover comunque dichiarare ricavi ufficialmente non realizzati, vanificando quindi gli sforzi e i rischi corsi per occultare ricavi al fisco.  In altre parole, semplificando, non avrebbe senso evadere le tasse non emettendo scontrini fiscali se poi, in sede di dichiarazione dei redditi, si devono dichiarare anche ricavi non realizzati. 

Se il problema, come pare, fosse proprio questo, se ne dedurrebbe che lo strumento di accertamento fiscale d’eccellenza utilizzato dal fisco in questi anni, ossia lo studio di settore, è uno strumento del tutto arbitrario che non riesce a cogliere l’effettivo livello di ricavi di un impresa. Quindi uno strumento e un metodo di accertamento del tutto inattendibile, al punto da non contrastare l’evasione fiscale. 

Allora perché continuare ad utilizzarlo e a fondarci la pretesa tributaria in sede di accertamento?

Accanto all’evasione che Bersani vorrebbe combattere limitando o azzerando l’utilizzo del contante, c’è quella posta in essere dalla grandi multinazionali e dal sistema bancario che con strumenti apparentemente leciti, tendono ad occultare ricavi al fisco. 

Il più delle volte si tratta di strutture societarie complesse, spesse residenti in paradisi fiscali, che vengono utilizzate per compiere transazioni finalizzate proprio ad occultare ricavi al fisco e quindi essere soggetti ad una tassazione più mite. Queste operazioni, che arrecano danni miliardari alle casse dello Stato, non sono affatto poste in essere utilizzando moneta contante, bensì moneta elettronica. 

Si riesce così a spostare fiumi di denaro con un semplice clic e con altrettanta  facilità ad occultare ricavi al fisco. Il caso del Monte Paschi, banca tanto cara al Pd, ne costituisce un esempio eloquente. In questo caso, si parla di presunte tangenti per  circa 3 miliardi di euro, che sono stati movimentati con un semplice clic. Con il denaro contante, non avrebbero mai potuto movimentare cifre del genere.

Affermare che la lotta all’evasione possa essere condotta eliminando il contate, senza aver rimosso i prodromi che la determinata, equivale a curare un paziente malato andando a prevenire il contagio  di un organo sano, senza tuttavia aver rimosso e curato la malattia alla base della patologia. 

Nel discorso che ci occupa ciò significa, semplicemente, escogitare ed affinare  ulteriori  forme di evasione, benché si sia stati inibiti dalla possibilità di utilizzo del denaro contate. Anzi, paradossalmente, potrebbero addirittura determinarsi effetti totalmente opposti a quelli che si vogliono combattere. 

Si pensi, ad esempio, a delle attività completamente sommerse del tutto sconosciute al fisco. Queste continuerebbero a fare affari  e a svilupparli sfuggendo del tutto al controllo statale e magari utilizzando come strumento di compensazione delle pratiche commerciali,  una moneta alternativa a quella  normativamente vietata o ridotta nel suo utilizzo.  

Ciò, potrebbe addirittura costituire un motore di sviluppo delle mafie che, grazie ai propri affari, sarebbero capaci di approvvigionarsi all’estero di moneta alternativa e riversarla nell’economia sommersa nazionale, ramificandosi sempre più e ottenendo un controllo su quell'economia sommersa che proprio lo Stato intende combattere.


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