giovedì 7 febbraio 2013

La deriva dell'Occidente.


di Francesco Salistrari.

La potenza della propaganda, dell’indottrinamento delle masse, della manipolazione sociale.
Una prerogativa tremenda, indispensabile all’esercizio di un potere non democratico o para-democratico.
Lo aveva capito benissimo il nazismo e attraverso il “genio” di Goebbels ne aveva fatto un’arte, uno strumento imprescindibile della presa del Nazismo come ideologia dominante nella Germania degli anni Trenta devastata dalla crisi, ma non solo in Germania. Lo aveva capito benissimo il nostro Mussolini che fece della propaganda di orgoglio nazionale il vessillo del proprio credo politico. E funzionò.
Come sempre, il potere delle parole e della manipolazione politica della coscienza civile e sociale di un popolo, porta i suoi frutti.
Il mondo da allora è completamente cambiato e con la rivoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, iniziata proprio in quegli anni con la radio e continuata con la televisione (promotrice del boom del dopoguerra e dell’ideologia ad esso associata), il Potere ha trovato spazi di manipolazione sociale e civile sempre più grandi. Oggi, nel mondo della grande comunicazione di massa, dopo decenni di propaganda televisiva, di controllo sistematico e classista dell’informazione, di promozione della società dei consumi e di un modello culturale ben preciso, assistiamo impotenti al dispiegarsi di questa immane macchina di manipolazione collettiva che determina in parte o in toto la percezione stessa della realtà di intere popolazioni.
Assistiamo in altre parole alla riscrittura costante della storia, come nei peggiori incubi orwelliani, dove le parole perdono di senso e locuzioni come “ribelli” e “terroristi” o “pace” e “guerra” si confondono, diventano concetti liquidi in cui il Potere gioca la partita della sua egemonia culturale.
Anche negli anfratti di questa crisi, appare evidente quanto sia potente quest’opera di ideologizzazione latente della società occidentale e come concetti quali “democrazia”, “mercati”, “debito”, per fare solo alcuni esempi, vengano manipolati funzionalmente agli interessi del Potere e alla tenuta del sistema.
Il tutto comporta un arretramento culturale e della coscienza critica della società occidentale pericolosa, e questo arretramento coinvolge anche quei settori sociali e le loro corrispondenti organizzazioni (partiti, associazioni, intellettuali ecc.) che al contrario dovrebbero conservare una visione critica della società e dell’economia capace di fornire quegli (e di porsi come) strumenti necessari di difesa e di riequilibrio sociale. Invece assistiamo ad uno schiacciamento culturale, ideologico e politico di questi settori e di queste formazioni sociali proprio sulle posizioni, le idee, i concetti, le strategie, lo stesso lessico, di quell’area sociale identificabile con il concetto di potere (in questo caso nel senso più ampio del termine).
Tale schiacciamento, nega alla società una visione olistica della realtà culturale, politica, sociale ed economica e permette al Potere di presentarne una, costruita, parziale e funzionale ai propri interessi. In questo, l’asservimento e il controllo generale dei mezzi di comunicazione, laddove solo internet lascia ancora qualche spazio, garantisce al Potere di “creare” una vera e propria realtà alternativa. Per fare un esempio, sulla situazione mediorientale, la stragrande maggioranza del popolo occidentale presenta una visione che si compone essenzialmente in base a tutte quelle informazioni che il sistema informativo fornisce ed essendo i contatti diretti con la realtà del Medioriente sporadici e circoscritti, la coscienza generale sulla situazione di quei paesi si viene a formare in base ad un’informazione per lo più filtrata, distorta e funzionale agli interessi dell’apparato militare-industriale dei paesi occidentali che in quella zona del pianeta conservano immani interessi strategici. In mancanza di un’informazione alterativa e non filtrata, critica e oggettiva, la società occidentale ha una raffigurazione della realtà che è sostanzialmente diversa dalla fattualità delle situazioni presenti in quei paesi. Questo comporta una generale comprensione delle dinamiche in atto (politiche, economiche, sociali) veicolata da interessi (economici, politici e militari) che non sempre, o quasi mai, coincidono con quelli della stragrande maggioranza della società occidentale. Questo naturalmente avviene in un flusso che funziona in entrambi i sensi. Vale a dire che la percezione che i paesi extraoccidentali hanno del mondo occidentale, raramente coincide con la realtà del mondo occidentale preso nel suo complesso, in quanto le dinamiche distorsive dell’informazione e la manipolazione collettiva attuata dal potere, opera anche nei contesti extraoccidentali e non potrebbe essere altrimenti.
In questo modo, oggi assistiamo in occidente ad una serie di scelte politiche ed economiche, di fronte alla crisi generale del sistema capitalista, che, attraverso la manipolazione mediatica e politica, assumono contorni, caratteri e conseguenze difficilmente percepibili da quella parte maggioritaria della società destinataria delle stesse. In altre parole, in assenza di una critica complessiva ai meccanismi di potere, alle dinamiche economiche e sociali e di una capacità di creare canali informativi alternativi e sostanzialmente liberi da influenze e da interessi particolari, garantisce una gestione della crisi economica e politica in atto che in altri frangenti storici al Potere sarebbe stata sostanzialmente impossibile.
Per scendere nel concreto delle dinamiche a cui assistiamo, credo, sia utile fare alcuni esempi provenienti dalla realtà italiana che, in questo, non è dissimile dalla realtà occidentale, anzi al contrario può fornire degli elementi paradigmatici utili ad inquadrare la natura profondamente reazionaria e pericolosa di tali dinamiche.
Un concetto che viene costantemente veicolato dai mezzi di informazione e dalla politica “parlereccia” nostrana quando si discute di crisi o di campagna elettorale, è quello onnicomprensivo di “mercati” e locuzioni come “la fiducia dei mercati”, “le risposte dei mercati”, “la reazione dei mercati”, nascondono una realtà oggettiva delle dinamiche economiche che il grande pubblico, in mancanza degli strumenti necessari ad una valutazione olistica del concetto di “mercati”, ignora completamente. In questo esempio particolare, in effetti, viene detto molto meno di quello che realmente accade e se, come ad esempio è avvenuto in questi giorni, un esponente politico particolare (nel caso concreto Berlusconi) esprime un concetto o una proposta politica (promessa elettorale) la stragrande maggioranza delle persone che assistono al “teatrino” della politica accetta come naturale il fatto che i “mercati” possano “reagire” negativamente (o positivamente) ad una dichiarazione pubblica di un qualsiasi esponente politico. Su questo aspetto torneremo dopo, ma quello che mi preme sottolineare adesso è che tale “accettazione” acritica, è figlia e frutto di anni e anni di manipolazione culturale operata dal Potere sulla società occidentale che, oggi, secondo decennio del XXI secolo, è completamente assuefatta ai meccanismi e agli interessi della sfera “finanziaria” dell’economia e alle sue ingerenze prepotenti sulla sfera “politica”, vale a dire su quella storicamente deputata alla composizione di tali interessi. In altre parole, dopo decenni di “indottrinamento” culturale, alla popolazione occidentale appare normale che un’entità astratta come il concetto di “mercati”, di cui ignora completamente meccanismi e funzionamento, possa interferire in maniere così pesanti e ingerenti nelle dinamiche propriamente democratiche e deputate all’azione esclusiva della Politica e dell’azione sociale. L’ingerenza della sfera “finanziaria” dell’economia su quella democratica (politica), appare dunque oggi come perfettamente normale, addirittura naturale e questo avviene non tanto perché così dovrebbe essere per garantire un più corretto funzionamento dei meccanismi di formazione delle scelte collettive, ma esclusivamente perché la manipolazione culturale operata negli ultimi decenni da parte del Potere ai danni della società occidentale, ha permesso l’introiezione collettiva del fatto che i “mercati” POSSANO e DEBBANO interferire con la sfera propriamente politica deputata alle scelte collettive. Culturalmente, il mercato appare dunque oggi come una entità dotata anche di una “coscienza politica” e benché tale concetto non risulta palese né nelle discussioni politiche, né nelle esternazioni sociali, concretamente l’esplicazione pratica di questa “coscienza politica” che si esprime in una “funzione politica”, determina degli effetti oggettivi sulle dinamiche democratiche dei vari contesti nazionali dell’occidente.
In questo senso, alla maggioranza delle popolazioni occidentali, sfugge un aspetto decisivo che è quello che possa esistere un ambito esterno alla politica che in definitiva determina le scelte collettive. Il fatto che tale aspetto decisivo in passato non sfuggisse collettivamente del tutto, è la chiara dimostrazione che il Potere attraverso tutta una serie di strumenti, tra i quali quello in questo scritto analizzato (il sistema informativo), sia riuscito a vincere una battaglia fondamentale per il controllo sociale tout court. In effetti oggi proprio quelle formazioni politiche all’interno delle quali la dialettica evidenzia questi aspetti, non hanno più la capacità di proiettare all’interno della società determinate consapevolezze, mancando in questo oltre che in capacità comunicativa de facto, anche in capacità di analisi e di proposta. In questo quadro, come nell’esempio analizzato, un aspetto non marginale del problema è che a pagarne dazio (e pesantemente) sono proprio le capacità democratiche di una società presa nel suo complesso, in quanto entità quali quelle dei “mercati” hanno facoltà intrusive e decisionali che scavalcano e travalicano i confini entro i quali le dinamiche democratiche normalmente possono operare ed esplicarsi.
Se Berlusconi in campagna elettorale propone la “restituzione” dell’IMU e i “mercati” reagiscono in maniera negativa, aldilà delle considerazioni di ordine pratico-economico che riguardano la “fiducia” dei mercati finanziari sulla stabilità dei conti italiani, è necessaria una analisi di carattere generale (politica) che verte sulla preponderanza che tali considerazioni operano ai danni delle dinamiche democratiche interne di un paese o di un’area geografico-economica particolare. In altri termini, alla società, presa nel suo complesso, mancano completamente quegli strumenti attraverso i quali porre una critica generale dei meccanismi economico-finanziari che operano nel mondo “globalizzato” del nuovo millennio, critica che sfoci nell’elaborazione collettiva di un paradigma sociale ed economico alternativo che metta al primo posto la predominanza degli interessi e dei bisogni collettivi (universali), presupponendo non tanto e non solo una limitazione dell’ingerenza della finanza nell’ambito propriamente politico e sociale, quanto una sua riconsiderazione complessiva. In questo senso, infatti, proporre (come molte forze politiche europee e statunitensi cosiddette “progressiste” fanno) una “riforma” del sistema finanziario capace di implementare (o reintrodurre) tutta una serie di controlli, di limiti e di “barriere” (legislative, sociali ecc.) alla preponderanza dei “mercati”, rappresenta uno sterile tentativo di arginare un fenomeno economico e sociale che appare radicato profondamente nel funzionamento stesso del sistema preso nel suo complesso. In altre parole, pensare di limitare i “mercati” attraverso interventi legislativi e lasciando intatti altri meccanismi complessivi del funzionamento del sistema, non risolverebbe alcun problema, ma al contrario accelererebbe il disfacimento del sistema stesso.  Quello che le forze che propongono una riforma del sistema finanziario, non riescono a cogliere, in definitiva, è il fatto che i variegati strumenti e istituti finanziari di cui il mondo economico si è dotato nel corso dell’evoluzione economico-sociale dal dopoguerra ad oggi, restano essenziali per la perpetuazione del sistema economico stesso e funzionali alle dinamiche ad esso sottese. In altre parole, per sostenere la crescita economica (e arginare la caduta dei profitti), prerequisito irrinunciabile del funzionamento del sistema capitalista, l’economia reale si è dovuta dotare di una serie di istituzioni, regole, condotte e strumenti finanziari senza i quali la crescita economica non sarebbe stata possibile. A tal proposito, come non cogliere il nesso causale che esiste tra alcune scelte propriamente politiche (anche se di natura economica) e il rilancio della crescita economica mondiale (più propriamente occidentale) come, ad esempio, l’abbandono negli anni Settanta del sistema monetario di “Bretton-Woods” che arrivati ad un certo stadio di sviluppo delle forze produttive dell’occidente si presentava come un ostacolo prepotente e insuperabile all’espansione di queste ultime? Come ad esempio non vedere, oggi, negli strumenti finanziari cosiddetti “derivati” il palloncino aerostatico a cui agganciare la crescita di determinati ambiti dell’economia reale che altrimenti resterebbe ferma? In questo senso, appare decisamente ingenua la proposta di tutte quelle forze politiche di determinare una compressione della sfera finanziaria dell’economia a vantaggio di più ampi margini di manovra di quella politica, di quella sociale o di quella appartenete all’ “economia delle cose” (reale), perché facendo questo si rischierebbe di ingrippare l’intero sistema economico. Per fare un altro esempio concreto, porre oggi dei limiti, come quelli che esistevano un tempo, alla libera circolazione dei capitali, per quanto possa sembrare perfettamente ragionevole e auspicabile, considerati gli immani squilibri (e danni sociali) che tale meccanismo comporta, sarebbe oltremodo dannoso per il funzionamento complessivo del sistema economico e questo è abbastanza evidente nelle posizioni espresse dai massimi esperti di economia a livello mondiale. In altre parole, la riforma del sistema finanziario mondiale, rappresenta al minimo un’utopia (almeno per gli obiettivi che si vorrebbero raggiungere), nel peggiore dei casi un danno ancora maggiore dei problemi che si vorrebbero risolvere.
E’ per questa semplice ragione che all’interno della società occidentale (ma non solo naturalmente) sarebbe necessario sorgesse una consapevolezza nuova e diversa, consapevolezza capace di garantire l’elaborazione di un modello economico alternativo al capitalismo in cui la composizione degli interessi sia appannaggio non già di entità, istituzioni e formazioni sociali non democratiche (o para-democratiche), ma sia sotto il controllo effettivo della volontà democratica collettiva.
Osservare la realtà oggettiva del mondo nel quale viviamo, al contrario ci porta a registrare la distanza abissale che si è venuta a creare tra “volontà collettiva” e “luoghi deputati alle scelte politiche ed economiche”. In altri termini, assistiamo al completo cortocircuito del meccanismo democratico e questo senza alcuna reazione da parte del corpo sociale.
E’ in questo aspetto, come in altri, che si esplicano prepotentemente gli effetti nefasti della “propaganda ideologica” operata dal Potere sulle società occidentali che ha determinato una completa e totale sottovalutazione delle conseguenze di simili meccanismi.
Per fare un altro esempio che possiamo trarre dalla realtà italiana, pensiamo per un attimo a cosa, nella coscienza sociale, rappresenta oggi l’Europa in quanto “entità economica” (moneta unica, mercato integrato, libera circolazione di capitali, merci e fattori produttivi).
Nella stragrande maggioranza del popolo italiano, l’Europa non è neanche interiorizzata. In altre parole, la maggior parte dei cittadini italiani, quando parlano di Europa non sanno nemmeno di cosa stanno parlando, confondendo e fondendo in maniera arbitraria aspetti folkloristici, filosofici, culturali, economici, sociali, politici e finanziari, senza la benché minima capacità di analizzare organicamente cosa si nasconda nella realtà oggettiva dei fatti dietro il concetto di “Europa”. In questo senso, la manipolazione mediatica, ancora una volta ha determinato una distorsione profonda della percezione della realtà nella quale la popolazione italiana si trova a vivere quotidianamente. Assistiamo cioè ad una operazione che  si è configurata in maniera duplice: da un lato per anni si è veicolata l’idea della indispensabilità dell’entrata del nostro paese nella moneta unica e della sottoscrizione dei Trattati Europei e a sostegno di tali tesi il dibattito pubblico è stato completamente compresso e limitato dalla parzialità sia delle informazioni fornite agli italiani, sia dalla capacità di analisi delle formazioni politiche presenti nel panorama italiano di quegli anni; dall’altro lato la meccanica delle scelte che hanno condotto all’entrata del nostro paese nella moneta unica e nei Trattati Europei, si è configurata eminentemente come antidemocratica in quanto il popolo italiano non è mai stato chiamato ad esprimersi in merito all’adozione delle misure e alla sottoscrizione degli accordi di ambito europeo. Il fatto che tali operazioni (mediatico-politiche) siano state condotte in assenza di un dibattito pubblico e democratico di qualche valenza concreta, è ancora una volta la chiarissima e lapalissiana dimostrazione di come il sistema del Potere abbia completamente manipolato la percezione della realtà oggettiva e con essa la concretizzazione politica e sociale di quella al contrario necessaria valutazione delle conseguenze che l’entrata del nostro paese in Europa avrebbe determinato. Mentre un’analisi critica, attenta e puntuale, su tutti i pro e i contro di tale ingresso, avrebbe permesso alla coscienza collettiva del popolo italiano di formarsi un’idea precisa di cosa tale scelta avrebbe determinato e incontro a quali conseguenze saremmo andati. In questo contesto ancora una volta si sono inserite volontà extrapolitiche e antidemocratiche che hanno pesantemente determinato l’evoluzione sociale e politica di un paese (ed in questo caso specifico di un’intera area geografico-economica) per un intero decennio con conseguenze di lungo periodo. In concreto, oggi, con l’esplodere della crisi mondiale, ed in particolare in Europa di quella dei “debiti sovrani”, appaiono abbastanza palesi (come evidenziato già in studi economici precedenti alla formazione dell’ “area Euro” completamente ignorati a suo tempo) per paesi come i cosiddetti PIIGS, l’aggancio valutario ad una moneta più forte e l’integrazione economica con paesi con fondamentali diversi (inflazione, mercato del lavoro, sistema formativo ecc.) abbia determinato l’aggravarsi di problematiche relative alla sostenibilità dei debiti pubblici, l’acuirsi degli squilibri esistenti tra i vari paesi e favorito l’esplosione della disoccupazione, della precarietà e dell’impoverimento del tessuto sociale e produttivo dei paesi più deboli. In questo senso, in mancanza di un dibattito democratico serio, libero e critico sui meccanismi che sottendono al funzionamento del sistema economico preso nel suo complesso e sui meccanismi particolari dell’area Euro e dell’Europa dei Trattati, la società europea ha completamente subito una serie di scelte e di provvedimenti che esulano completamente dalla difesa dei propri interessi collettivi, di tutela dei propri diritti, della propria capacità di partecipare alle scelte decisionali e al governo della propria economia.
In altri termini, molto semplicemente: democrazia.
La messa in discussione della modellistica dello Stato Sociale (venuta fuori dalla seconda guerra mondiale come contraltare non solo economico ma anche ideologico al blocco sovietico) è solo uno degli aspetti della più generale messa in discussione da parte del Potere della democrazia come forma di governo in quanto tale. In questo senso, la costruzione europea, appare come l’esempio più lampante di questa volontà politica extrapopolare e che risponde alle necessità, alle prerogative e agli interessi di una piccola fetta della popolazione occidentale che detiene il controllo dei mezzi di informazione, degli apparati militari e repressivi degli Stati, dei sistemi educativi, dei centri finanziari (banche, multinazionali, borse valori ecc.), e che influisce pesantemente e determina i meccanismi di selezione delle classi politiche e dirigenti dei vari paesi, sul reclutamento e sull’utilizzo delle intellettualità e controlla il mondo della cultura (scuole, università, istituti di ricerca), che determina il meccanismo di selezione delle priorità economiche e di programmazione sociale dei vari paesi, che indirizza la natura e il carattere delle scelte di consumo, che influisce in definitiva, come già ampiamente affermato, sulla natura stessa della percezione della realtà della società che controlla.
In mancanza di una presa di coscienza collettiva, che nasca dall’interno stesso della società, che si faccia promotrice di una visione alternativa del mondo, dell’economia, dei rapporti politici e sociali, delle relazioni internazionali, dei modelli produttivi e di consumo, la presa ferrea di questo complesso sistema di Potere sulla società occidentale (oggetto di questa breve analisi) diventerà sempre più stringente e sarà la causa storica principale del tramonto di quello che è stato definito fino ad ora il “sistema democratico”.
Quello che appare evidente è che se in passato, l’esistenza di forze politiche e sociali, capaci di riequilibrare il sistema sociale ed economico attraverso la propria azione difensiva e propositiva, ha garantito la concreta democratizzazione (con variegate sfumature e profondità a seconda dei paesi e dei contesti storici che si analizzano) di interi ambiti della vita sociale, politica ed economica dell’occidente, oggi, il loro asservimento culturale, politico ed ideologico, agli interessi e alle prerogative della minoranza dominante, pone un gravissimo e immenso problema di tenuta complessiva dell’ordine democratico occidentale, della capacità di partecipazione concreta della popolazione alla formazione delle scelte collettive, di imbarbarimento e appiattimento culturale e sociale, di arretramento sul versante di diritti e tutele, di abolizione graduale di quelle garanzie democratiche in merito alla giustizia, di accesso alle risorse, di compensazioni sociali, di inclusione, di solidarietà.
Oggi, sulla base delle risultanze oggettive che si osservano nelle dinamiche sociali e politiche dell’occidente, quello che viene messo in discussione è precisamente l’evoluzione civile e democratica dell’intera civiltà occidentale e con essa, nella barbarie, nell’imbrutimento culturale e sociale, rischia di scivolare il mondo intero, determinando fattori e squilibri che potrebbero (e stanno mettendo) a serio repentaglio la convivenza pacifica stessa a livello internazionale.
Il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione occidentale, nonostante gli immani sacrifici che questa crisi sta ad essa imponendo, non si renda minimante conto dei rischi della deriva in atto, testimonia, se ce ne fosse bisogno, la gravità estrema della situazione alla quale, in un modo o nell’altro, va trovato un argine e un freno e auspicata una completa inversione di rotta.

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