mercoledì 27 febbraio 2013

Elezioni 2013, psicologia della morte annunciata del PD.


di Barbara Collevecchio.

Siamo nel caos, viva il caos.
Quando ho deciso di non votare l’ho fatto sperando questo epilogo. Da psicologa so bene che solo quando un paziente decide di capire di essere malato può intraprendere l’inizio della guarigioni. L’Italia è profondamente malata, deve toccare il fondo e vivere il caos per pensare di poter ripartire e partorire una stella danzante.
La vittoria del M5S è la cronaca di una morte annunciata, quella dei partiti. Ecco chi ha perso, complice l’astensione di chi era disgustato.
Il Pd: da tempi immemori avevo iniziato a parlare del narcisismo autoreferenziale dei vertici del Pd, scrivevo un anno fa: “Il partito democratico vive un’anomalia interna: da una parte ha come mito fondativo il vecchio padre dell’ideologia comunista, dall’altra un mal celato centrismo che va da tutt’altra parte. Quello che emerge è una dissonanza cognitiva tra i membri, che non possono diventare fratelli in quanto figli di diversi padri.
Il mito fondante del Pd allora non è né l’ideologia comunista, né quella centrista ma rischia d’essere piuttosto un ibrido costruito a tavolino cui manca una visione chiara non solo futura, ma anche passata e presente. Da ciò deriva che il Pd è percorso da forti correnti interne, figli ribelli, e che la sua maggiore preoccupazione è tentare di dare una parvenza di democrazia diretta, attraverso le primarie che purtroppo però sono quasi sempre a perdere. In nome del voto utile si è fatta molta confusione, ma non pare a tutt’oggi che la creazione di questo partito socialdemocratico italiano abbia creato una possibile alternanza governativa. Visioni così dissimili rischiano di paventare l’ingovernabilità. Il Pd non può continuare a guardarsi la punta delle scarpe e ad avere un atteggiamento narcisista e un dialogo con se stesso. Nel frattempo se si scende per strada si percepisce una rabbia, uno sdegno e un odio viscerale nei confronti della politica, sdegno e irritazione che aumentano quando si leggono su Twitter esponenti importanti del Pd parlare tra di loro di presidenzialismo, di giochini di potere e riforme, come se fossero loro ad essere in ballo, la loro sopravvivenza e non quella di un popolo che si sta portando a livelli di insofferenza pericolosi ma, forse, davvero motivati. 
Le primarie infatti sono state a perdere: anche qui su ilfattoquotidiano.it per mesi non ho fatto altro che definire il Pd una signorina snob che sarebbe rimasta da sola, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e questa sconfitta che è riuscita persino a riportare in auge Berlusconi non è un male per il nostro paese se questo partito ora spazzerà via tutti i vertici e si riformerà.
Grillo ha vinto, Berlusconi ha vinto, perché la sinistra in Italia non esiste: è assurdo e indegno che una ventata di anti austerità e movimentismo l’abbiano dovuta introdurre due milionari ma tant’è. Nel mio articolo di tempo fa Tra Rete e proposta politica: Beppe Grillo, il Robespierre che non piace agli intellettuali, scrivevo: non i partiti, ma i gerontofili che li presiedono devono accettare il fatto che è finita: come afferma Gramellini oramai c’è un fastidio fisico nei loro confronti. Gli italiani sono disgustati, odiano. Immaginate un matrimonio oramai alla frutta e come ci si sente a finire ancora al letto con quella persona e non poter cambiare letto: come minimo si va a dormire sul divano.
Grillo è stato ed è per ora, questo divano dove gli italiani schifati ed esasperati vanno a dormire per non trovarsi nel letto i vecchi politici. Il messaggio è: ristrutturatevi ora, finché c’è tempo o a non dormir più sonni tranquilli non saranno più gli italiani ma voi. 
Se si è intellettualmente onesti ora si può solo riconoscere la capacità di Grillo di aver assorbito questa protesta e sperare che gli eletti ne facciano buon uso facendoci tornare presto alle urne con  almeno una legge elettorale che non ci umili più. 


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