venerdì 4 gennaio 2013

Riflessioni sul Neofascismo italiano.


«Tagliate le teste ai vostri nemici, non per avere nemici senza teste, solo per scoprire quanto esse siano vuote»

di Anna Lami

Le considerazioni che seguono derivano da un bilancio della mia personale esperienza nella variegata area dell’estrema destra italiana, dove ho iniziato a militare da giovanissima fino a diventare, all’età di 20 anni, dirigente di Forza Nuova.
Diedi le mie dimissioni da tale organizzazione dopo un percorso che mi aveva condotto da una parte a comprendere il grave errore politico compiuto in adolescenza e la sostanziale estraneità delle posizioni rivoluzionarie a tali ambienti, dall'altro lato l'impossibilità di agire all'interno di tale struttura per cambiarne programmi ed obiettivi. 

Questo breve scritto si rivolge innanzitutto ai molti giovanissimi che si avvicinano al neofascismo mossi da sincere aspirazioni di ribellione, nell'ottica di offrire loro qualche strumento di riflessione e magari ripensamento. Mi auguro, inoltre, che queste riflessioni possano offrire quale spunto utile per approfondire la conoscenza dell’area neofascista tra chi è attivamente impegnato a contrastare la diffusione delle organizzazioni di estrema destra nel tessuto sociale. 

Massimo Fini e Giorgio Almirante

Le realtà italiane che si rifanno direttamente ad ideali fascisti sono molteplici; ancor più numerosi sono i gruppi politici che pur non rivendicando apertamente l’eredità del ventennio, vi si riferiscono nelle pratiche e nelle battaglie politiche. Solo per citare quelle più rilevanti sia per numero di militanti che per diffusione sul territorio nazionale, troviamo Forza Nuova, Casa Pound e La Destra. 

Ripercorrerne l’excursus storico-politico sarebbe superfluo, abbondando a proposito le conoscenze. Maggiormente interessante è sottolineare che tutti i gruppi neofascisti, oltre alle tematiche più caratterizzanti come il rifiuto della società multirazziale e dell’immigrazione, nella propaganda si richiamano ad ideali di giustizia sociale, anticapitalismo, antimperialismo e spesso rifiutano la collocazione a destra dello scacchiere politico definendosi “oltre la destra e la sinistra”, “trasversali”, oppure “estremo centro alto” (come si autoprofessa CP). Alcuni settori minoritari arrivano addirittura a qualificarsi come nazionalbolscevichi o nazimaoisti, senza uscire però dall’impianto teorico, pratico e simbolico del neofascismo di cui sono parte integrante. 

Silvio Berlusconi e Francesco Storace

Diventa quindi importante smascherare le tematiche pseudo rivoluzionarie agitate strumentalmente da questi ambienti, perché è proprio su di esse che fanno leva per intercettare settori di ribellismo giovanile e cercare di inserirsi nel malcontento sociale. 

Sull’anticapitalismo 


Il fondamentale motivo di incompatibilità tra una corretta concezione anticapitalista e quella di derivazione neofascista risiede nell’analisi dei rapporti economici. La dottrina economica fascista, infatti, non mira in alcun modo a sovvertire i rapporti di classe esistenti nel contesto capitalista, quanto piuttosto a ricomporre i contrasti e le tensioni sociali che da questi rapporti derivano, in un presunto superamento idilliaco del conflitto capitale-lavoro “nel supremo interesse della nazione” (corporativismo). La lotta di classe (dal basso) è considerata sovversiva perché implica la divisione in seno alla nazione ed al popolo. 
Un manifesto di FN Perugia sulla
vicenda dell'omicidio di Meredit Kercher

Il neofascismo del dopoguerra non ha apportato dal canto suo nessuna innovazione sostanziale nell’ambito della lettura dei rapporti economici, limitandosi al massimo a denunciare l’eccessiva acquiescenza delle politiche del ventennio nei confronti della grande borghesia industriale, agraria e latifondista rivelatasi poi “traditrice” di Mussolini e della patria. Basti pensare che negli ultimi 60 anni la pubblicistica neofascista non ha prodotto alcuna analisi rigorosa e documentata sugli effetti reali delle politiche economiche del regime e sulle condizioni dei salariati nel sistema corporativo mussoliniano. 

Rispetto alla realtà odierna l’area neofascista ignora, in gran parte, la struttura e le dinamiche del capitalismo e ne offre una definizione confusa. Spesso “capitalismo” è utilizzato come sinonimo di “mondialismo”. Secondo il pensiero prevalente nell’ambiente, infatti, il capitalismo si concretizzerebbe nel dominio mondiale di una cricca di usurai dell’alta finanza sui popoli del mondo. Si tratta di una visione con forti venature complottiste in cui ci si limita alla denuncia della speculazione finanziaria e del ruolo delle banche senza assolutamente chiamare in causa i rapporti di produzione. Non a caso, in quest' area politica trovano moltissimo spazio le teorie signoraggiste che riconducono tutte le problematiche socio-economiche, compresa la crisi capitalista attuale, ad un problema di emissione monetaria da parte di banche centrali in mano privata (controllate, per taluni, dal complotto tra ebrei, massoni e finanzieri apolidi). 

Alessandra Mussolini prima di
dedicarsi alla política

Il presunto anticapitalismo neofascista non ha alcun fondamento scientifico e non è altro che un aggiornamento (approssimativo) delle tematiche contro le plutocrazie giudaico-massoniche di mussoliniana memoria. 

Sull’antimperialismo 

I neofascisti tutti si definiscono antimperialisti e si dichiarano a favore dell’autodeterminazione dei popoli. Eppure, cosa c’è di più contraddittorio tra il richiamarsi più o meno apertamente alle esperienze totalitarie ed autoritarie del ‘900 e l’autodeterminazione dei popoli? Sia la politica nazionalsocialista che quella fascista erano palesemente imperialiste, incentrate su una visione dei rapporti internazionali che verteva sull’idea di una continua lotta per la supremazia tra le nazioni, dal sapore darwiniano. Per giustificare l’espansionismo ed il colonialismo fascista si pretende di contrapporre una visione “imperialista” statunitense ad una “imperiale” fondata sulla “volontà di potenza” e sulla presunta superiorità della civiltà “romana e cristiana”. Quest’ultima avrebbe svolto una funzione educatrice nei confronti dei popoli di colore incapaci di evolvere socialmente e politicamente senza la provvidenziale guida europea. Tant’è che in più occasioni Forza Nuova ha difeso il colonialismo italiano in Africa, e non ha fatto mistero di auspicarne una riedizione aggiornata. 

Vera rimostranza alla base dell’antimperialismo neofascista è infatti il ridimensionamento del ruolo italiano ed europeo nello scacchiere geopolitico mondiale a seguito della sconfitta bellica: si rimprovera infatti alla nostra classe dirigente il perenne atteggiamento di “servilismo” nei confronti degli Usa. L’antimperialismo neofascista non è che una reazione alla sconfitta storica subita dalle potenze dell’Asse nella seconda guerra mondiale ed alla perdita di centralità degli stati europei. E’ rivolto prevalentemente nei confronti degli Stati Uniti d’America (pertanto più che antimperialismo sarebbe maggiormente corretto definirlo antiamericanismo) in quanto incarnerebbero il nemico che più di tutti ha contribuito alla sconfitta dell’Europa nazi-fascista, la “vera” Europa. Dopo il crollo del muro di Berlino, e la perdita della funzione di argine antisovietico, gli Usa sono diventati per l’estrema destra il simbolo di tutti i mali contemporanei: il paese multirazziale per eccellenza, politicamente guidato da lobbies di massoni ed ebrei che, occupando posizioni chiave dell’amministrazione americana, ne dirigono la politica. 


Di conseguenza il neofascista condanna le guerre in Iraq, Afghanistan e Libia soprattutto perché funzionali agli interessi economici e geopolitici degli Usa e/o di altre potenze occidentali mentre l’Italia in tali conflitti rivestirebbe un ruolo subordinato non ricavandone che poche briciole. Inoltre il filo-militarismo tipico degli estremisti di destra li porta comunque a solidarizzare e rendere onore ogniqualvolta un soldato italiano perde la vita o viene ferito in una missione all’estero. Emblematica in tal senso la campagna di Casa Pound e della Destra di Storace a sostegno dei due marò italiani che hanno sparato ed ucciso un pescatore indiano lo scorso anno. Anziché chiedersi come mai i soldati italiani stessero difendendo gli interessi di una compagnia economica privata, anziché interrogarsi sull'opportunità di punire chi ha ucciso immotivatamente un pescatore inoffensivo, hanno invocato la libertà per i marò giudicando inaccettabile non l’assassinio di un uomo inerme ma il fatto che il governo italiano non si sarebbe fatto rispettare dall’India, imponendo l’estradizione dei militari.

Insomma sono “antimperialisti” solo con gli imperialismi stranieri. Ad esempio, lo scorso anno Casa Pound ha dato perfetta prova di cosa intenda per antimperialismo. Come sappiamo, la Francia ha ricoperto un ruolo di primo piano nella guerra alla Libia: ebbene la reazione di Casa Pound è stata quella di protestare mandando gommoni al Trocadero a Parigi perché “vi siete presi Galbani, Gucci, Bulgari, Bnl, Parmalat, Alitalia” ed ora “l’Eni perderà il monopolio del petrolio libico in favore di Total”. In questo caso il problema non è l’imperialismo economico in sé, quanto se siano o meno “italiani” o meno i gruppi capitalistici che lo praticano. Quindi lo pseudo-antimperialismo neofascista è semplicemente figlio di aspirazioni nazionaliste frustrate. 

Destra-Sinistra ovvero gerarchia-eguaglianza

Uno spot di Forza Nuova

Come accennato all’inizio di questo scritto la maggioranza dei gruppi neofascisti rifiuta la collocazione a “destra” dello scacchiere politico. Eppure, tutti i pensatori a cui si rifanno (da Nietzsche ad Evola, dalla Konservative Revolution ad Adriano Romualdi), sono ispirati, sia pur in forme differenti, al principio di fondo dell’inegualitarismo gerarchico. Non a caso sono tutti feroci critici della rivoluzione francese. Prima della rivoluzione francese, infatti, la rappresentazione della realtà politica secondo metafore spaziali non usava la dimensione laterale orizzontale destra-sinistra, ma quella verticale alto-basso. Al vertice stava il re, poi il clero, l’aristocrazia guerriera, ed infine il popolo. E’ la sinistra che durante la rivoluzione francese ha fatto ruotare l’asse della raffigurazione originaria della dimensione politica da verticale a orizzontale, laddove all’orizzontalità si associava un programma ideologico contro il privilegio e la gerarchia. La destra, che ha subìto questo cambio di paradigma simbolico, non si riconosce in questa rappresentazione e preferisce continuare a ricorrere alla concezione verticale, onde il rifiuto di molti settori della destra più radicale di riconoscersi nella dicotomia destra-sinistra. 

Eppure proprio la chiave interpretativa simbolica di sinistra-orizzontalità-eguaglianza contro destra-verticalità-gerarchia, consente di inquadrare bene un’altra discriminante teorica fondamentale che separa irriducibilmente le forze d’estrema destra da quelle autenticamente rivoluzionarie. 

Certamente sia la concezione egualitaria che quella gerarchica possono tradursi in svariati programmi ideologici concreti. L’eguaglianza da realizzare può essere quella davanti alla legge, quella politica, quella economica. Così come la gerarchia può essere fondata sul censo, sulla razza, sulla forza. Ad ogni modo eguaglianza significa riconoscimento di uno o più aspetti essenziali relativamente ai quali gli individui, indipendentemente da tutte le altre diversità, hanno pari dignità e diritto ad eguale trattamento, mentre gerarchia significa l’individuazione di una specifica superiorità di alcuni che, al di là di possibili aspetti comuni con gli altri individui, richiede un trattamento differenziato. 

Nella sede romana di Casa Pound

Ebbene, nella concezione ideologica della destra radicale le differenze tra gli esseri umani (di etnia, di sesso, di capacità) comportano il conferimento di uno status complessivo al gruppo di individui portatori della differenza, status che definisce poi il posto appropriato nella gerarchia sociale. Dunque l’inegualitarismo non assume solo una funzione descrittiva, ma prescrittiva, nel senso che le differenze nel genere umano non sono solo empiricamente evidenti (bianchi-neri, uomo-donna), ma prescrivono un ordine strutturato dal superiore all’inferiore. Le ideologie che stanno a fondamento della destra neofascista (tradizionalismo, superomismo reazionario, razzismo, comunitarismo organicista) sono, quindi, radicalmente estranee, dal punto di vista della visione antropologica, ad ogni forma di egualitarismo. Ed ecco, dunque, l’esaltazione della razza, della stirpe, dei vincoli di “sangue e suolo”, di tutto le possibili forme di unità sociale rette da vincoli di solidarietà naturali e non da interessi materiali. Quindi il rifiuto della dimensione economica come fattore determinante nella struttura sociale e della democrazia che livellerebbe ingiustamente gli esseri umani privilegiando la quantità rispetto alla qualità. Non a caso i movimenti fascisti si sono sempre opposti alle classi dirigenti liberali, perché non sono “vere” élite, autentiche aristocrazie (del sangue o dello spirito), provviste del potere carismatico del comando, perché la loro essenza è solo economica, “mercantile”, quindi priva di valore intrinseco. 

Braccio armato della reazione 

I fascisti si proclamano come terza via rispetto alle ipotesi comuniste e “liberal-capitaliste”. “Né fronte rosso, né reazione!” è uno dei loro slogan preferiti. In realtà della reazione sono sempre stati il braccio armato. 

In tutta Europa i movimenti fascisti nascono come reazione della piccola borghesia al “pericolo rosso”. Nel 1919 la fondazione dei “Fasci italiani di combattimento” con un programma intriso di forti venature progressiste e richiami socialisteggianti, ebbe scarsissima eco. Fu solo dopo la svolta reazionaria del 1920 con l’abbandono di tutte le posizioni politicamente invise alla borghesia conservatrice (la pregiudiziale antimonarchica, il voto per le donne, le posizioni anticlericali, le rivendicazioni sociali più avanzate) e le prime azioni squadristiche contro le organizzazioni proletarie che i fascisti iniziarono ad essere finanziati da agrari ed industriali preoccupati dalla agitazioni operaie del “biennio rosso”, ed ingrossarono le loro fila fino a contare migliaia di militanti (mentre tanti militanti della prima ora abbandonavano il movimento ormai compromesso con i settori più retrivi delle classi dominanti). 


Dopo la seconda guerra mondiale, gli eredi del ventennio si schierarono attivamente nel campo occidentale per contrastare l’”avanzata della barbarie sovietica”. Non a caso il MSI votò sempre a favore della Nato dal 1949 (anno di adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica) al 1991 (anno della partecipazione italiana alla prima guerra di aggressione all’Iraq di Saddam Hussein). 

Quanto ai settori extraparlamentari, a parole più rivoluzionari della casa madre missina, in politica internazionale si distinsero per l’esaltazione del colonialismo francese in Indocina ed Algeria (l’Oas divenne un vero e proprio mito per i neofascisti di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), per il sostegno a tutti i regimi dittatoriali da Franco a Pinochet passando per i colonnelli greci, fino all’arruolamento di vari militanti (tra cui noti esponenti dei Nar come Alessandro Alibrandi) nella Falange "Kataeb" in Libano a fianco dell’esercito israeliano. 

In Italia è nota, e in taluni casi persino apertamente rivendicata, la partecipazione di questi ambienti ai fatti più oscuri della strategia della tensione dalle stragi ai tentativi di colpi di stato. In tale contesto è utile smascherare le fantasiose ricostruzioni storiche che vedrebbero i gruppi neofascisti in prima fila nella contestazione giovanile del 1968: basti pensare che se è vero che alcuni militanti di Avanguardia Nazionale e del Fuan-Caravella parteciparono agli scontri di Valle Giulia del 1 marzo 1968, quelle stesse persone nel 1970 erano attivamente impegnate nell’organizzare il fallito golpe Borghese: questo la dice lunga sulle reali motivazioni che avevano nella partecipazione (comunque assolutamente marginale) alla rivolta sessantottina. Quanto al principale ideologo “nero” di quel periodo, Franco Giorgio Freda, tutt’ora punto di riferimento teorico imprescindibile con le sue Edizioni di Ar, se da un lato, nel 1969, scriveva un testo come “la Disintegrazione del Sistema” in cui auspicava l’alleanza con le formazioni rivoluzionarie di sinistra e dichiarava il proprio apprezzamento per il presidente Mao, dall’altro collaborava con il SID ricoprendo indubbiamente un ruolo di primo piano nella strage di Piazza Fontana il 12 dicembre dello stesso anno. 


Immigrazione e razzismo 

Con il crollo dei socialismi reali, l’avvento della globalizzazione e il fenomeno delle migrazioni di massa i movimenti neofascisti rispolverano le vecchie teorie razziste e si propongono come baluardo a difesa “dell’identità nazionale” minacciata dall’”invasione” migratoria. Per i neofascisti, infatti, l’identità nazionale non appartiene alla sfera culturale, soggetta ai mutamenti della storia, ma è considerata come un dato originario, eterno ed immutabile, radicato nell’eredità di sangue e nella dimensione razziale, in una prospettiva completamente a-storica. In quest’ottica ovviamente qualunque mutamento della composizione etnica dei popoli è considerato degenerativo. Come se tutti i popoli attualmente esistenti non fossero il prodotto di una catena infinita di “contaminazioni” etniche e culturali sedimentatesi nei secoli. Questa concezione razzista ha come ovvia conseguenza l’avversione per l’immigrato visto come, più o meno inconsapevole, veicolo di “imbastardimento” razziale. Dunque, nei fatti, i neofascisti scaricano tutto il peso della problematica migratoria sulle principali vittime del fenomeno: gli immigrati stessi. Senza assolutamente concentrarsi sulle cause economiche che costringono milioni di esseri umani ad abbandonare i loro paesi d’origine. Certo, qualche volta, nella pubblicistica dell’estrema destra si ammette che gli immigrati sono sfruttati, eppure anziché solidarizzare con loro quando si ribellano allo sfruttamento (come i braccianti africani di Rosarno nel gennaio 2010), si invoca l’ ulteriore repressione nei loro confronti totalmente funzionale alle classi dominanti. Non a caso in Grecia, nel pieno di una crisi che ha completamente devastato il tessuto sociale di quel paese, i neonazisti di Alba Dorata (più volte presenti in Italia negli anni scorsi ad iniziative di Forza Nuova) sono attivamente impegnati in continue brutali aggressioni ai migranti più diseredati. 

I rapporti con la destra istituzionale 
Infine, se i militanti più ingenui davvero credono di essere alternativi rispetto alle destre borghesi, i loro dirigenti nella destra “sistemica” hanno abitualmente visto una sponda. Non è praticamente mai successo che un’organizzazione neofascista rifiutasse l’alleanza politica o il sostegno (più o meno palese) della destra istituzionale: le esperienze della giunta comunale di Alemanno a Roma e della presidenza Storace alla regione Lazio sono quanto mai significative al proposito. Dalle assunzioni di vari “camerati” nei settori della pubblica amministrazione o nelle municipalizzate ai cospicui finanziamenti e patrocini alle iniziative “culturali” dei circoli neofascisti. 

Per ciò che concerne le competizioni elettorali, dalle amministrative passando per le regionali e le politiche, appena ne hanno avuto l’occasione i dirigenti di La Destra, Forza Nuova, Casa Pound hanno cercato un posticino al sole inserendo loro uomini nelle liste di questo o quel partito “moderato” o, dove possibile, entrando direttamente nella coalizione di centrodestra con la propria organizzazione. Il “correre da soli” non è stato quasi mai una scelta volontaria ma un ripiegamento obbligato, quando, per ragioni di opportunità

elettorale, i settori della destra “sistemica” non hanno voluto allearsi pubblicamente con gli “impresentabili” neofascisti. Anche la recente scelta di Casa Pound di presentare liste autonome alle prossime elezioni, dopo che per anni ha candidato suoi esponenti in An e poi nel Pdl, va letta nell’ottica di un deterioramento dei rapporti tra CP e Polverini e Alemanno dopo che questi, in seguito alle azioni squadristiche più eclatanti (aggressione all’esponente del PD Marchionne, assassinio di tre senegalesi a Firenze da parte di Gianluca Casseri, raid ai Magazzini Popolari a Casalbertone, ecc.), avevano dovuto prenderne le distanze. Insomma pare evidente che le organizzazioni neofasciste siano “alternative al sistema” e “dure e pure” solo quando non possono fare altrimenti. 




1 commento:

  1. Il prefisso Neo non l'ho mai sopportato:neofascista,neopagano,neotutto...,sa tanto di artefatto ammuffito, di fondamenta rimesse a nuovo ma sotto l'intonaco sono fatiscenti,dietro al neo vi è sempre un riproposta vecchia dipinta a nuovo. e a volte il "neo" e ancor peggiore del vecchio.

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