Sono in moltissimi, compresi illustri
economisti che ne hanno messo in discussione profondamente la natura
e gli effetti (vedi il buon Alberto
Bagnai), che credono che l’euro sia alla sua fase
finale. Come un malato che è stato tenuto in vita con diversi
artifici farmaceutici e che adesso scivola verso una critica e
dolorosa agonia.
Una dolorosa agonia che colpirà
inevitabilmente (ancora!) i popoli europei, non certo gli speculatori
e la grande finanza che sull’euro e sulle “scommesse” (vedi
spread) fatte sull’euro hanno lucrato in maniera continuata fin dal
2009. Un immenso travaso di denaro che è passato a colpi di tastiera
e di algoritmi informatici in un batter d’occhio dall’economia
reale, dalle imprese e dalle famiglie europee, direttamente nelle
tasche di questa pletora di approfittatori.
Sono in molti, dicevamo, che credono
nella imminente caduta dell’euro e molti individuano nel vertice di
oggi in cui il presidente della BCE Mario Draghi incontrerà
il presidente della Bundesbank
Jens
Weidmann
e il ministro
delle finanze tedesco Wolfgang
Schauble , nonché il
segretario del tesoro americano
Timothy
Geithner,
un passaggio importantissimo e determinante in cui si giocherà la
“partita finale”. E’
indubbio che tale vertice abbia una importanza cruciale, com’è
indubbio che le tensioni siano alte. E’ altrettanto indubbio però,
secondo la mia personale visione, che i temi che verranno affrontati
saranno proprio quelle decisioni che in questo determinante mese di
agosto verranno attuate per salvare la barca.
La caduta dell’euro non avverrà.
Non nel breve periodo, quantomeno. Non certo a causa dei mercati.
Credo piuttosto che i mercati vengano usati come arma indiretta per
convincere i riottosi (in testa tedeschi) che ancora non accettano
l’idea di concedere all’Europa quelle ulteriori quote di
sovranità che invece auspicano i costruttori della moneta unica e
della costruzione europea (e non solo).
Questi signori non rinunceranno
all’euro così facilmente. E per ripetere le parole dello stesso
Draghi, che in tanti vedono solo come un bluff per
calmierare gli spread, “verrà fatta qualsiasi cosa per salvare
l’euro”. E verrà fatta sul serio. E questo qualcosa include,
naturalmente, l’avvio veloce (e feroce) della progressiva piena
integrazione politica degli stati europei in un Super Stato
centralizzato. Tale accelerazione sarà funzionale, nel breve
periodo, a frenare le spinte (presenti e forti) alla disgregazione
dell’Unione (non solo monetaria), e nel lungo periodo a favorire
l’implementazione di politiche fiscali, del mercato del lavoro,
scolastiche sempre più integrate e omogenee. Che poi sono
esattamente quelle cose che servirebbero per rendere stabile e
funzionante l’intero mercato interno europeo e più competitivo
quello estero. A costi sociali comunque enormi, non dimentichiamolo.
Vi starete chiedendo: e gli USA in
tutto questo? Gli Usa è esattamente questo ciò che vogliono.
Un’Unione Europea più omogenea e più stabile, nonostante la
crisi, anzi proprio per essere più efficiente rispetto alla crisi, è
precisamente ciò di cui hanno bisogno in questo momento (o nel più
breve tempo possibile) gli Stati Uniti. Questo per due ragioni: 1)una
caduta rovinosa dell’euro significherebbe una caduta altrettanto
rovinosa della precaria economia statunitense; 2)un euro forte sui
mercati valutari (e lo sarebbe molto di più se dietro ci fosse
un’unione politica più concreta) è un enorme vantaggio per
l’economia statunitense che può così mantenere più basso il
valore del dollaro e spalmare al meglio sui mercati valutari mondiali
l’inflazione dovuta alle politiche di “quantitive easing” di
portata storica effettuate (e da effettuare?) da parte della Fed
per risanare i bilanci bancari colpiti dall’esplosione dei
sub-prime e della Lehman Brothers (2007-08).
Inoltre uno Stato Centralizzato europeo
sarebbe enormemente più duttile per le politiche militari di
appoggio agli Stati Uniti qualora qualcosa dovesse andare di traverso
nelle crisi Siriana e Iraniana o ci fosse una volontà di
intervento concreta. Oltre che sarebbe più direttamente
controllabile (o quantomeno influenzabile) dalle pressioni operate
dagli interessi delle multinazionali americane.
Questo modo di vedere le cose,
naturalmente ha tanti problemi da affrontare e tante variabili
imprevedibili da evitare. Per prima cosa il tutto si baserebbe in
teoria su una ottimistica visione dell’andamento economico nel
medio periodo con proiezioni di ripresa della crescita europea
e americana a partire dal 2013-14. Qualora non fosse così e la crisi
dovesse acuirsi invece di recedere (trasformandosi in una vera e
propria depressione), possedere uno strumento di potere e di
controllo delle politiche economiche e militari anche dell'Europa,
garantirebbe una gestione più efficace delle dinamiche sociali
(scontri e sommosse) che ne nascerebbero e troverebbero il blocco
euroatlantico già pronto alla eventuale battaglia mondiale.
In un ipotesi comunque pacifica,
nell'ottica di una depressione occidentale, a vedersela male non
sarebbero solo i paesi occidentali, ma anche la Cina (che già
ora comincia a manifestare i primi segnali di cedimento) e tutti gli
altri paesi in forte ascesa (i cosiddetti BRIC di cui fa parte
anche la Cina naturalmente, ma anche Vietnam, Angola,
Venezuela, Argentina ecc). Un crollo delle economie
occidentali sarebbe un bel problema per tutti. Non dimentichiamo che
FMI e WTO sono praticamente in mani americane.
E poi, come già anticipato, i problemi
maggiori per gli altri paesi sarebbero rappresentati dalla
recrudescenza aggressiva dell'apparato militare americano che
non starebbe certo a guardare in caso di crollo verticale
dell'economia americana ed europea.
Insomma un bel pasticcio.
Come molti prevedono una dinamica del
genere porterà molti paesi a “rinazionalizzare” il proprio
capitalismo (tutti, dicono loro) operando scelte protettive per le
proprie economie (cosa che in parte i paesi emergenti hanno già
fatto e stanno facendo). Una scelta che nelle regole e negli
intendimenti dell'organizzazione Europea per gli stati nazione presi
singolarmente non si avrebbe in quanto negata, a meno di uscite
unilaterali che farebbero crollare tutto l'abaradan istituzionale e
monetario europeo (quello che prevedono fin dai prossimi mesi gli
osservatori più disparati). Più probabilmente l'Europa invece,
nello scenario ipotizzato, assumerebbe scelte “protezionistiche”
nel suo insieme, come unico organo economico. Il che eviterebbe lo
sfacelo totale. Ecco in prospettiva la ragione dell'importanza
dell'incontro di oggi.
Insomma la situazione è davvero
difficile e ingarbugliata e le spinte ad un accentramento di poteri
in Europa è fortissima, proprio in vista di quello che potrebbe
succedere. Tale accentramento naturalmente in USA è già avvenuto e
ampiamente portato a termine con i Patriot Act del 2001 , ma
non solo.
Ma sarà sufficiente ad evitare una
sollevazione violenta dei popoli (piegati dalla depressione) capace
(?) di spezzare gli equilibri di potere esistenti? O si genererà una
reazione a catena incontrollabile se non con una forza dittatoriale
(palese) di ferro? Sarà sufficiente a frenare la corsa ad una guerra
internazionale potenzialmente distruttiva? Esiste davvero questa
volontà nell'establishment euro-atlantico? O siamo già al conto
alla rovescia?
Ai posteri (non troppo lontani nel
tempo) l'ardua sentenza.
(Francesco Salistrari)