DI
MANULE ALFIERI
ecoportal.net
Marie-Monique
Robin: “Se c’è volontà politica, in quattro anni mettiamo fine
all’attuale modello agroalimentare”.
Da
Parigi, la giornalista investigativa critica duramente l’agrobusiness
e propone una soluzione alla crisi che ha colpito l’agricoltura
mondiale: la realizzazione dell’agroecologia su grande scala.
Una
nuova inchiesta della giornalista francese Marie-Monique Robin è
appena stata pubblicata. Si tratta del libro “Notre poison
quotidien” (in italiano “Il veleno nel piatto” edito da
Feltrinelli, N.d.T.), un lavoro che, al pari di “Il mondo secondo
Monsanto”, è stato realizzato sia come libro sia come documentario
cinematografico. L’autrice offre un’analisi estremamente
dettagliata delle responsabilità dell’industria chimica
nell’epidemia delle malattie croniche. “Parlo dell’incredibile
aumento di tumori, malattie neurodegenerative, disturbi della
riproduzione, diabete e obesità che si registrano nei paesi
“sviluppati”, al punto che l’Organizzazione Mondiale della
Sanità parla di ‘epidemia’”, spiega la Robin.
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A cosa si riferisce quando parla del “nostro veleno
quotidiano”?
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Ai prodotti chimici che troviamo ogni giorno nel cibo, che siano
sottoforma di pesticidi, additivi alimentari o plastiche utilizzate
per gli alimenti. Queste molecole chimiche sono presenti in dosi
molto basse. Quello che dimostro nella mia ricerca, e che nessuno ha
negato finora, è che queste dosi molto basse di residui, che si
suppone non abbiano alcun effetto, hanno invece effetti nocivi per la
salute umana. -
L’uso di questi prodotti presenti nei cibi è autorizzato?
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Certamente. La valutazione dei prodotti chimici praticata
dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, o dalla FDA
negli Stati Uniti, si basa sul principio di Paracelso secondo il
quale è la quantità che rende un veleno tale. La cosiddetta “Dose
Giornaliera Ammissibile” (DGA) si basa su questo. Ciò che dimostro
è che questo principio non è valido per molte molecole, che non
serve a niente.
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Perché?
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Perché questa specie di Bibbia è basata sul nulla. Non c’è
nessuno studio serio alla base. Tutti credevano che con la DGA
saremmo stati al sicuro, ma nessuno si è mai chiesto da dove
venisse. Questo è il fulcro della mia ricerca. La DGA è stata
fabbricata a tavolino da cinque persone negli anni ’60. Lo fecero
in buona fede, perché si stavano chiedendo cosa potevano fare per
moderare l’effetto delle molecole chimiche, che sappiamo essere
altamente tossiche. Ma non hanno mai proposto di proibire l’uso di
questi veleni presenti nel nostro cibo. Pensavano che in nome del
“progresso” o dello “sviluppo” avremmo dovuto correre questi
rischi, non poteva essere altrimenti.
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Queste norme sono avallate da organismi statali?
-
Sì. Si nascondono dietro un regolamento statale, che sembra essere
molto indipendente, molto serio e molto scientifico, con molti dati e
molte cifre, con tonnellate di scartoffie, ma quando ti metti a
studiarlo ti rendi conto che è stato realizzato affinché le
autorità pubbliche potessero dire: “Stiamo bene, siamo nella
norma”. Ma se è una norma seria, che realmente serve a proteggere
la gente, allora perché la cambiano continuamente? La adeguano agli
interessi delle industrie, più che alla salute della popolazione.
-
Perché, secondo lei, non c’è stata nessuna risposta alla sua
ricerca da parte dell’industria chimica?
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Perché sono dati e perché loro lo sanno. La ricerca ha suscitato
scalpore appena è uscita. I produttori chimici hanno detto: “La
Robin esagera un po’”. Ma niente di più. Sicuramente colgono
sempre l’occasione per dire che questo lavoro è un po’
esagerato, oppure le grandi imprese pagano gente che cerca di
screditarmi sul mio blog.
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Nel suo lavoro lei sostiene che la “Rivoluzione Verde” degli anni
’60 prometteva di alimentare tutto il mondo, ma che in realtà non
è mai stata neanche vicina a riuscirci. Perché?
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Nel mio prossimo documentario, che uscirà tra un mese (magari
arrivasse in Argentina!) -si intitola “Il raccolto del futuro”-,
rispondo proprio a questa domanda. Il discorso è sempre lo stesso:
“Se proibiamo gli agrotossici, non possiamo alimentare il mondo,
moriremo di fame”. Questa argomentazione è molto interessante, ma
falsa. La famosa “Rivoluzione Verde” ha portato a un
impoverimento delle risorse naturali e a una contaminazione
generalizzata dell’ambiente, a causa dell’uso massivo di prodotti
chimici. Ho viaggiato per un anno in undici paesi. La conclusione che
ho tratto è che se oggi c’è un miliardo di persone che non mangia
o che ha problemi di fame è a causa degli agrotossici. Non solo per
gli agrotossici in sé, ma per tutto il sistema di mercato legato a
questo business.
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Come influisce sul mercato?
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Questo aspetto ha a che fare con una catena che si estende a livello
mondiale. In Argentina ci sono 18 milioni di ettari coltivati con
soia transgenica, fumigati con agrotossici, che stanno distruggendo
allevatori e piccoli produttori che realmente danno da mangiare alle
popolazioni locali. Qui in Francia stiamo sterminando il 3% della
popolazione degli agricoltori e le grandi fattorie. Tutto è
collegato, perché quelli che vendono gli agrotossici sono gli stessi
che controllano il mercato dei semi, come Cargill e Monsanto. Queste
multinazionali stanno seminando la fame nel mondo.
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Come si fa a uscire da questo sistema?
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Attraverso l’agroecologia, l’agricoltura organica, basata in
piccole unità autonome a livello energetico, in cui si utilizzano le
risorse naturali e la varietà di piante, perché la monocoltivazione
è una catastrofe per l’ambiente.
-
Ma l’agroecologia si può realizzare anche su grandi estensioni o
su scala nazionale?
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Certamente, senza nessun problema. L’unico ostacolo è la mancanza
di volontà politica. In Europa stiamo combattendo questa battaglia.
L’anno prossimo avremo un cambiamento nella famosa politica
agricola dell’Unione Europea. Stiamo chiedendo che i sussidi che si
danno qui agli agricoltori, o alle grandi imprese, quelle che più
inquinano l’ambiente, siano stanziati per gli agricoltori che
vogliono passare all’agroecologia. In solo quattro anni si può
cambiare rotta. È solo una questione di volontà politica e,
volendo, si può mettere fine a questo modello agroalimentare
criminale globale. Bisogna sottrarre l’agricoltura alle grinfie del
commercio. Il cibo non è un prodotto qualsiasi: nessuno può vivere
senza. Nessuno può vivere senza contadini. Ogni paese dovrebbe
proteggere i propri contadini. Sentiamo sempre dire che i prodotti
dell’industria chimica sono più economici di quelli biologici, ma
non è vero, perché l’industria chimica genera una gran quantità
di spese indirette.
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La proibizione degli agrochimici sarebbe un modo per risparmiare
denaro o, al contrario, una perdita economica?
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L’Unione Europea ha realizzato uno studio secondo il quale se
proibissimo gli agrotossici, solo tenendo in considerazioni i soldi
spesi per il cancro dei contadini e degli altri, potremmo risparmiare
27 miliardi di euro l’anno. E parliamo solo del cancro.
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Nel suo libro, lei sostiene che il cancro è una malattia “nuova”,
propria della civilizzazione. Com’è possibile?
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Volevo saperlo, perché si dice sempre che il cancro è relazionato
ai prodotti chimici. Bene, volevo verificare se prima esistesse il
cancro o meno. Ho studiato molti libri, moltissime relazioni di gente
che ha viaggiato durante il XIX secolo in cui si afferma che il
cancro era quasi inesistente. I tumori fecero la loro comparsa con la
civiltà industriale. È un fatto. Ed è interessante vedere come
sono andati aumentando. È interessante anche vedere come si
organizza l’industria per affermare il contrario.
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Con il passare degli anni, la popolazione ha preso coscienza che
molte sostanze di uso quotidiano - come la sigaretta o il sale - sono
dannose per la salute. Pensa che possa succedere la stessa cosa con
gli agrochimici?
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È molto diverso, perché questi prodotti si trovano ovunque e non lo
sappiamo. Una persona che fuma conosce i rischi ed è una decisione
personale. Negli alimenti, invece, uno non sa quanti prodotti chimici
sta ingerendo. Molte donne non sanno, per esempio, che una delle
cause principali del tumore al seno, sebbene non l’unica, sono i
deodoranti. Per questo dico alle donne di non utilizzare nessun
deodorante, perché contengono perturbatori endocrini che vanno
direttamente al seno. La popolazione non lo sa. Inoltre, si stanno
utilizzando prodotti che non sono stati prima analizzati. Dobbiamo
riappropriarci del contenuto della nostra alimentazione quotidiana,
riprendere le redini di ciò che mangiamo, affinché la smettano di
infliggerci piccole dosi di diversi veleni senza alcun
beneficio.
Fonte:
http://www.ecoportal.net/Temas_Especiales/Suelos/Agronegocio_El_veneno_nuestro_de_cada_dia
Scelto
e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SILVIA SOCCIO
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