Come
si possono bruciare otto ore del proprio tempo, ogni santo giorno,
fra miasmi velenosi, rumore e frustrazione, nell’occupazione di un
lavoro senza sbocchi, privato di ogni passione e di crescita umana?
Sarebbe meglio farla finita per sempre!
Il
nostro tempo e la qualità della vita, sono i beni più preziosi che
abbiamo e li dobbiamo custodire gelosamente, e nessuno ce li può
sottrarre; tanto meno ad un prezzo così alto. La
vita dell’uomo “dell’Ilva di Taranto” non
ha alcun senso e valore. Non conta un cazzo! Domani, dopo
trentacinque anni di inutile e duro lavoro (se mai ci arriverà), non
sarà altro che uno fra i milioni di minchioni che hanno sacrificato
la loro esistenza sull’altare dell’industrialesimo pagano.
L’uomo
“dell’Ilva di Taranto, ha una percentuale altissima di ammalarsi
di cancro, e quindi, di morire. Per lui, sarebbe il male minore, ma
per i suoi cari, una vera tragedia. Un uomo, può donare la sua
vita per nobili ideali, ma non per gli sporchi interessi di quattro
papponi crilinali, ignoranti e inquinatori.
L’uomo
ragionevole, muore per un calcio sferrato dal suo cavallo o per
essere caduto ubriaco dal fienile o, colpito da un fulmine in una
notte di tempesta, mentre cerca di radunare il suo gregge di pecore.
L’uomo ragionevole, muore annegato, dopo essere caduto con la sua
bicicletta in un fossato, di notte, tornando dall’osteria verso
casa – muore di fatica, dopo avere dissodato, con la sola forza
delle sue braccia, un campo di patate. L’uomo ragionevole, muore
soffocato dall’ultimo boccone della sua cena o, avvelenato dalla
puntura di una vipera – muore per un colpo di pugnale al cuore,
sferratogli dal suo acerrimo nemico, per una parola di troppo. L’uomo
ragionevole, muore da uomo, perché la memoria delle sue azioni, sia
da conforto per tutti quelli che lo hanno amato.
La
morte dell’uomo “dell’Ilva di Taranto”, si consuma dentro il
vuoto, di un’esistenza inutile e la sua memoria, non é che un
brivido freddo dentro il cuore dei suoi famigliari.
L’uomo
ragionevole cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione di
autenticità e di qualità della vita. Non c’è motivo al mondo,
tale da costringerlo a lavorare all’Ilva di Taranto. Meglio sarebbe
per lui, vivere di espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una
baracca di lamiera e cartone. Meglio sarebbe per lui, che fosse la
carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti stellate, i suoi
sogni.
Io
amo l’uomo dell’Ilva di Taranto, e nutro per lui un’infinita
pena, ma non sarà certo questo mio romantico e cristiano sentimento,
che potrà riscattare la sua esistenza. Conosco e comprendo
perfettamente, i motivi che l’hanno spinto ad una scelta tanto
estrema, ma alla fine, non lo posso e non lo voglio giustificare.
L’uomo
dell’Ilva, si deve ribellare e riappropriare dell’unica cosa che
è capace di produrre miracoli, e in grado di riesumare autentiche
passioni e vere motivazioni: la terra.
La
terra, è il vero potere; il solo potere al quale possiamo
serenamente sottometterci sapendo che, domani, per noi sarà un altro
giorno, un giorno nuovo, pieno di aspettative e di speranze, di sana
fatica e sereno riposo. L’uomo della terra, ha il potere di
riconvertire la schiavitù in libertà, il lavoro in fatica, la
frenesia in pace, lo smarrimento in consapevolezza e la morte
nella vita. Oggi, il suo respiro è profondo, e i suoi nervi
scattanti. Armonia ed equilibrio, fanno danzare la sua anima, fra
campi di grano e prati erbosi, e la vita, nel sentimento della fede,
si riconcilia con il mistero della morte.
L’uomo
dell’Ilva di Taranto deve decidere adesso, se essere uno schiavo
del nulla, o un uomo libero della terra. Domani, sarà per lui,
troppo tardi.
Gianni
Tirelli
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