giovedì 2 agosto 2012

L'Ilva di Taranto: paradigma di schiavitù e morte.


Come si possono bruciare otto ore del proprio tempo, ogni santo giorno, fra miasmi velenosi, rumore e frustrazione, nell’occupazione di un lavoro senza sbocchi, privato di ogni passione e di crescita umana? Sarebbe meglio farla finita per sempre!
Il nostro tempo e la qualità della vita, sono i beni più preziosi che abbiamo e li dobbiamo custodire gelosamente, e nessuno ce li può sottrarre; tanto meno ad un prezzo così alto. La vita dell’uomo “dell’Ilva di Taranto non ha alcun senso e valore. Non conta un cazzo! Domani, dopo trentacinque anni di inutile e duro lavoro (se mai ci arriverà), non sarà altro che uno fra i milioni di minchioni che hanno sacrificato la loro esistenza sull’altare dell’industrialesimo pagano.
L’uomo “dell’Ilva di Taranto, ha una percentuale altissima di ammalarsi di cancro, e quindi, di morire. Per lui, sarebbe il male minore, ma per i suoi cari, una vera tragedia. Un uomo, può donare la sua vita per nobili ideali, ma non per gli sporchi interessi di quattro papponi crilinali, ignoranti e inquinatori.
L’uomo ragionevole, muore per un calcio sferrato dal suo cavallo o per essere caduto ubriaco dal fienile o, colpito da un fulmine in una notte di tempesta, mentre cerca di radunare il suo gregge di pecore. L’uomo ragionevole, muore annegato, dopo essere caduto con la sua bicicletta in un fossato, di notte, tornando dall’osteria verso casa – muore di fatica, dopo avere dissodato, con la sola forza delle sue braccia, un campo di patate. L’uomo ragionevole, muore soffocato dall’ultimo boccone della sua cena o, avvelenato dalla puntura di una vipera – muore per un colpo di pugnale al cuore, sferratogli dal suo acerrimo nemico, per una parola di troppo. L’uomo ragionevole, muore da uomo, perché la memoria delle sue azioni, sia da conforto per tutti quelli che lo hanno amato.
La morte dell’uomo “dell’Ilva di Taranto”, si consuma dentro il vuoto, di un’esistenza inutile e la sua memoria, non é che un brivido freddo dentro il cuore dei suoi famigliari.
L’uomo ragionevole cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione di autenticità e di qualità della vita. Non c’è motivo al mondo, tale da costringerlo a lavorare all’Ilva di Taranto. Meglio sarebbe per lui, vivere di espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una baracca di lamiera e cartone. Meglio sarebbe per lui, che fosse la carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti stellate, i suoi sogni.
Io amo l’uomo dell’Ilva di Taranto, e nutro per lui un’infinita pena, ma non sarà certo questo mio romantico e cristiano sentimento, che potrà riscattare la sua esistenza. Conosco e comprendo perfettamente, i motivi che l’hanno spinto ad una scelta tanto estrema, ma alla fine, non lo posso e non lo voglio giustificare.
L’uomo dell’Ilva, si deve ribellare e riappropriare dell’unica cosa che è capace di produrre miracoli, e in grado di riesumare autentiche passioni e vere motivazioni: la terra.
La terra, è il vero potere; il solo potere al quale possiamo serenamente sottometterci sapendo che, domani, per noi sarà un altro giorno, un giorno nuovo, pieno di aspettative e di speranze, di sana fatica e sereno riposo. L’uomo della terra, ha il potere di riconvertire la schiavitù in libertà, il lavoro in fatica, la frenesia in pace, lo  smarrimento in consapevolezza e la morte nella vita. Oggi, il suo respiro è profondo, e i suoi nervi scattanti. Armonia ed equilibrio, fanno danzare la sua anima, fra campi di grano e prati erbosi, e la vita, nel sentimento della fede, si riconcilia con il mistero della morte.
L’uomo dell’Ilva di Taranto deve decidere adesso, se essere uno schiavo del nulla, o un uomo libero della terra. Domani, sarà per lui, troppo tardi.
Gianni Tirelli

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