Uscire dall'euro e
dall'Europa vengono visti e veicolati dal mondo mediatico e politico
italiano come l'incipit della catastrofe sociale,
economica e politica di questo paese.
Il tabù del ritorno
alla piena sovranità nazionale è talmente radicato
che, scardinare questo piccolo (ma così grande) “pensiero
dominante”, sembra impossibile.
Eppure esistono
studi economici e precedenti storici (vedi Argentina) che
sottolineano come non è impossibile uscire dall'euro, né che sia
catastrofico come viene dipinto dal terrorismo mediatico in atto.
Il problema è che
le elites di questo paese, parte integrante di quei circoli elitari
che della costruzione europea e dell'euro hanno fatto la propria
ragione politica, sono pienamente consapevoli che un vasto movimento
contro l'euro e l'Europa del Trattato di Lisbona sia
pericolosissimo per i propri interessi e prerogative.
La costruzione
europea, attraverso unione monetaria e trattati, configura infatti
una situazione politica ed economica particolarmente vantaggiosa per
queste elites a cui difficilmente rinunceranno.
Si, c'è la crisi.
Si, i paesi della zona euro sono tutti in grandissima sofferenza e il
peso dei debiti sovrani sembrerebbe schiacciare tale costruzione.
Quando si considera
questo, ci sfugge, tuttavia, un dato particolarmente importante. E
questo dato è che la crisi, partita nel 2008 dagli USA con
l'esplosione della “bolla” dei mutui sub-prime, è si strutturale
e connaturata ai movimenti ciclici del capitalismo mondiale, è si
determinata dalla particolare congiuntura storica, affonda si le
proprie radici nella più generale situazione energetica mondiale, ma
proprio per questo e proprio grazie alla struttura e alle
caratteristiche della costruzione europea, viene magistralmente
sfruttata dai grandi gruppi di potere continentali e statunitensi,
per sperimentare un nuovo modello sociale occidentale che presuppone
una generalizzata e consistente soppressione dei diritti
individuali.
Grazie alla messa
al bando della democrazia rappresentativa, sfumata nelle
istituzioni europee che non hanno legittimazione democratica, grazie
al controllo economico e politico garantito alle istituzioni europee
sui contesti nazionali attraverso i vari trattati (Fiscal compact,
MES ecc.) e soprattutto la moneta unica, il ruolo, le prerogative e
la sovranità dei vari stati nazionali sono stati ridotti ad un
orpello ornamentale, giuridico e politico, che ha inficiato qualsiasi
garanzia di controllo democratico delle dinamiche decisionali.
E' chiaro dunque che
in gioco, nel massacro della crisi, c'è ben altro.
E le elites
dominanti non rinunceranno così facilmente al giocattolo dell'euro e
dell'Unione Europea così magistralmente costruito pezzo per pezzo.
L'obiettivo è
quello di smantellare gli ultimi residuati nazionali a controllo
pubblico (aziende, partecipazioni, patrimonio pubblico), abbassare i
livelli salariali e le tutele del lavoro, abbassare i consumi e
garantire ai paesi più forti (Germani, Francia) una serie di paesi
economicamente più deboli (nell'alveo della moneta unica e
dell'Unione) che garantiscano livelli di competitività vicini (se
non superiori) ai paesi dell'Est Europeo (Polonia, Romania ecc).
In pratica paesi
produttori di semilavorati a basso costo che garantiscano una
maggiore efficacia nella competizione sui mercati mondiali ai paesi
traino come la Germania e la Francia, il cui tessuto produttivo è
ancora saldamente in salute a differenza di quello italiano,
portoghese, greco e spagnolo, ormai quasi totalmente smantellato
dalla crisi e dalle politiche delocalizzative attuate in questi
decenni.
L'abbandono
dell'euro e dell'Unione Europea, dunque, appare imprescindibile se si
vuole garantire a questi paesi, ed in particolare all'Italia, una via
d'uscita dalla spirale della crisi. Ristabilire la sovranità
monetaria, nazionalizzare la Banca d'Italia e riaffidarla al
controllo del Ministero del Tesoro, programmare il default e azzerare
il debito, sono solo alcuni dei passi che questo paese deve compiere
per uscire dalla schiavitù imposta dai tecnocrati europei che
produrrà nei prossimi anni, senza alcun dubbio, lo scivolamento dei
paesi mediterranei nella povertà e nella precarietà.
La riconquista della
sovranità nazionale si traduce in riconquista della democrazia. In
riconquista del controllo della propria economia e del proprio
patrimonio collettivo.
Urge per questo
motivo, vista la completa inconsistenza e compromissione delle forze
politiche di questo paese (in particolare della sinistra), la
necessità della creazione di un fronte ampio, popolare,
in cui tutti, dai movimenti alle associazioni territoriali, dalle
vertenze sindacali ai movimenti di lotta (No Tav, Forconi, i pastori
Sardi ecc.), dai singoli cittadini al mondo delle università e della
scuola, dal mondo dei precari ai disoccupati, dai pensionati agli
impiegati, facciano quadrato per impedire il declino economico e
sociale di questo paese e attraverso l'elaborazione collettiva,
democratica, di un programma d'emergenza nazionale,
programmino l'uscita dall'euro, la riconquista della sovranità
monetaria e politica, la riappropriazione del patrimonio pubblico e
una nuova declinazione delle forme democratiche istituzionali e
sociali.
Sono questi i primi
passi, imprescindibili e irrinunciabili, al fine di evitare quello
che, posti gli interessi in gioco e chi determina le scelte
collettive in questo paese e nel continente, appare purtroppo
inevitabile.
(Francesco
Salistrari)
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