Si parla tanto di energie
alternative, di rinnovabili. Ed in Italia, la patria del sole, in
questi anni si è fatto veramente poco e quel poco che si è fatto,
lo si è fatto anche male. A cominciare dai CIP6, passando per
gli incentivi al fotovoltaico, fino ai bandi di gara regionali
per installazioni pubbliche. Un mare di euro spesi male e che non
hanno ancora minimamente inciso sui consumi globali di energia.
E così, mentre altri
paesi, come la Germania, entro il 2022 saranno sostanzialmente
autosufficienti, l'Italia resta negli ultimi posti per costi
energetici e percentuali di energia prodotta da rinnovabili.
La solita arretratezza
strutturale italiana. Come in altri ambiti, anche in quello delle
energie alternative, siamo l'esempio negativo da non imitare.
Un dibattito serio ed
approfondito sulle rinnovabili in Italia non è mai stato affrontato
ed anche in questo la classe politica italiana ha dimostrato un grado
di inadeguatezza assoluto ed esasperante. Le politiche varate
a livello nazionale sono state non solo inefficaci, ma soprattutto
hanno permesso sprechi e inefficienze che oggi a
scontare sono le famiglie italiane. L'aumento del 4,3% della bolletta
energetica per il 2012, sarà l'ennesimo salasso sulle già precarie
condizioni di milioni di italiani che, aggiunto alle vecchie e nuove
tasse, all'aumento dell'IVA, dei prezzi dei carburanti e della
spirale del debito, non fanno che aggravare una situazione di per se
già estremamente difficile.
C'è bisogno al più
presto di un Piano Nazionale per l'Energia. Uno strumento
indispensabile per programmare gli investimenti necessari a rendere
l'Italia un paese sempre meno dipendente dalle importazioni di gas e
petrolio dall'estero.
La rivoluzione
energetica passa attraverso però un elemento essenziale: la
ripubblicizzazione dell'ENEL.
La privatizzazione del
settore (nonostante una compartecipazione statale al 31%) si è
dimostrata assolutamente incapace di garantire ai cittadini un
servizio migliore e soprattutto tariffe più basse (che era quello
che si prometteva nel 1999 quando l'ENEL divenne una s.p.a.). Ma
soprattutto si è dimostrata la resistenza più strenua verso una
programmazione reale nella direzione delle rinnovabili. Quando nel
1991 fu implementata la normativa europea per l'energia e furono
istituiti i cosiddetti CIP6 (un sovrapprezzo del 6-7% in bolletta sui
consumi finali) da destinare allo sviluppo delle energie alternative,
molto furbescamente fu inserita in fase di approvazione una semplice
parola che ha stravolto il senso del provvedimento. Infatti a fianco
alla parola “energie rinnovabili” fu aggiunta “e assimilate”
dando così modo di ricevere incentivi anche a coloro che non
producono energia da fonti rinnovabili, ma da installazioni a
biomassa, inceneritori e termovalorizzatori (che
sono la stessa cosa).
Con questa modifica
all'apparenza insignificante la maggior parte dei fondi “raccolti”
(circa 60 miliardi di euro, dati 2007 ndr) sono andati nella
direzione non delle rinnovabili ma di altri sistemi di generazione
comunque inquinanti e poco redditizi (bassa efficienza energetica).
Quello che bisogna rilevare a questo proposito è che la furbata
legislativa è stata accompagnata da una gestione privatistica dei
fondi che ha favorito alcuni imprenditori al posto di altri e un tipo
di energia al posto di altra, segnando così un ritardo consistente
di tutto il paese che va recuperato.
Come?
La ripubblicizzazione
dell'Ente è il primo passo.
Il secondo ed immediato è
modificare la normativa sui CIP6 ed eliminare la possibilità di
destinare i fondi ad energie diverse da quelle strettamente
rinnovabili (fotovoltaico, eloico, pompe di calore, coogenerazione
ecc.). E cambiare anche in maniera sostanziale il sistema degli
investimenti prodotti fino a questo punto. Gli investimenti nel
settore non devono ridursi a dei semplici incentivi ai fornitori di
energia (che avevano la possibilità di rivendere al doppio del costo
di mercato l'energia prodotta con i sistemi individuati nella
normativa), ma devono tradursi fin da subito in investimenti
strutturali per garantire alla cittadinanza di usufruire dei
vantaggi dei fondi raccolti dalle proprie bollette. Si tratta di una
questione di razionalità economica elementare. Inoltre, e questo è
il punto fondamentale, i cittadini devono tornare ad essere i
proprietari della rete di distribuzione. Senza questo
passaggio irrinunciabile cercare di risolvere il problema
dell'indipendenza energetica è assolutamente impraticabile a meno di
investimenti privati nel settore assolutamente impensabili (per
volume e profitti previsti). La proprietà pubblica della rete di
distribuzione permetterebbe investimenti mirati (nuovi CIP6) alla
creazione, per esempio, della cogenerazione diffusa in modo
tale da rendere nel giro di un decennio i quartieri delle nostre
città assolutamente autosufficienti dal punto di vista energetico
con serie e positive ricadute sui consumi e sui risparmi per le
famiglie. Fintanto che la rete di distribuzione resta in mano privata
una politica efficace (e investimenti programmati) in questa
direzione sono impensabili.
Tutto questo naturalmente
non può prescindere da una programmazione Nazionale di largo
respiro, né tantomeno da una ristrutturazione razionale dell'Ente
per l'Energia. Ristrutturazione che preveda innanzitutto un
management pubblico di alta qualità ed un controllo democratico
diretto sulle scelte strategiche che l'Ente si troverà ad operare.
Controllo che non può essere affidato più semplicemente al
Ministero (così com'era in passato prima della privatizzazione), ma
che investa un organo di controllo permanente in cui siano
rappresentate anche le esigenze degli enti locali (e quindi dei
cittadini).
I presupposti per un
cambio radicale in questa direzione oggi, purtroppo, non sussistono.
Per svariate ragioni. Di natura politica ed economica.
Resta il fatto che se si
vuole sterzare seriamente verso l'affrancamento della schiavitù
energetica italiana, questa è l'unica via. Presentare nuovamente,
come è stato fatto, il nucleare come soluzione, o il sistema degli
incentivi (pozzo nel quale come sempre ad avvantaggiarsene sono pochi
a danno della collettività), significa mantenere in vita proprio
quegli elementi che contribuiscono a mantenere il paese in una
perenne situazione di inferiorità ed arretratezza e alimentano, come
molte altre questioni, la spirale del debito pubblico che ci sta
schiacciando.
(Francesco Salistrari)
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