Una
parola che in Italia sembra sinonimo di ladrocinio. Ed in un certo
senso lo è.
L'Italia
è uno dei primi paesi al mondo per volume di evasione fiscale
(calcolata intorno ai 130 mld di euro annui) ed è anche per questo
motivo uno dei primi paesi in quanto a pressione fiscale.
Una
pressione fiscale che dopo le ultime manovre di questo scellerato
governo Monti è aumentata in maniera consistente soprattutto su
lavoro dipendente e pensioni, piccole e medie imprese e che registra
uno dei costi del lavoro più alti d'Europa.
Costo
del lavoro e pressione fiscale, burocrazia. Sono questi i reali
motivi per cui in Italia non investe nessuno, anzi le aziende
delocalizzano all'estero. Altro che articolo 18 e
fregnacce forneriane varie.
Parlare
di tasse oggi in Italia sembra un tabù. Anche perchè una politica
vera ed incisiva di recupero dell'evasione in Italia NON è mai stata
fatta. Ed è inutile credere alla propaganda di regime e alla fiction
della Guardia di Finanza che va a Cortina o che acchiappa i
commercianti senza scontrino. La fetta consistente di evasione
fiscale non è certo rappresentata dall'evasione dei commercianti o
delle piccole imprese, ma risiede nel cumulo di denaro non dichiarato
(e portato nei paradisi fiscali) dalle grandi imprese, dai finanzieri
d'assalto, dai grandi professionisti (medici, avvocati ecc) che
determinano il 65% dell'evasione totale annua.
E
non è certo con la politica che adotta in questo momento il governo
Monti che si combatte l'evasione o con gli scudi fiscali
(riciclaggio legale di denaro) tassato al 5%.
Dopo
l'approvazione del Fiscal Pact europeo, ratificato nel
silenzio dell'informazione che ha sancito la modifica dell'art.
81 della Costituzione Italiana e che ha introdotto, tra le
altre cose, il pareggio di bilancio, una politica
sull'evasione fiscale non solo si rende necessaria, ma appare vitale.
In
una situazione infatti in cui la sovranità italiana (monetaria,
fiscale e politica) è stata minata dall'impalcatura europea , appare
chiaro come per raggiungere il pareggio di bilancio annuale evitando
disavanzi consistenti e ridurre il debito pubblico, con
la situazione attuale delle casse statali è semplicemente una
chimera e si trasformerà molto probabilmente in una ulteriore
“tassa” da pagare all'Europa. Infatti il Fiscal Pact impone ai
paesi che non raggiungessero il pareggio annuale di bilancio una
“penale” pari allo 0,1% del PIL nazionale. Una piccola manovra
finanziaria aggiuntiva. Dal momento che risulta evidente come
l'Italia non sia in grado di onorare questa nuova imposizione
europea, emerge prepotente la necessità di operare un cambio di
rotta nella politica fiscale statale.
E
il cambio di rotta è ancora più importante in quanto non essendo
possibile caricare ancora lavoro dipendente e pensioni di nuove tasse
e di compromettere definitivamente il potere d'acquisto e i consumi
(oggi ai livelli del 1997!), c'è bisogno di una piccola rivoluzione
fiscale.
E'
necessario innanzitutto sgravare le imprese (costo del lavoro,
burocrazia), il lavoro dipendente e le pensioni e aumentare la
pressione fiscale su patrimoni e rendite (finaziarie e non). "Le
aziende pagano più di quanto guadagnano. E la pressione fiscale
punisce chi aumenta il personale e frena lo sviluppo.
Ben
il 55% ha versato al fisco il 50% del proprio utile anti imposte. Il
22% ha addirittura eroso più del 90% dei profitti. "
(dati Unindustria Bologna).
L'aumento
della tassazione delle transazioni finanziarie (con varie modulazioni
ed esenzioni) dal 12,50% al 20% a partire dal gennaio 2012 appare una
misura eccessivamente ridotta e iniqua se si pensa che la tassazione
del lavoro sfiora il 50%.
Accanto
a questo urge una politica di lotta all'evasione vera e
non da sceneggiatura propagandistica. Una lotta all'evasione che vada
a colpire i veri grandi evasori e dare un freno all'esportazione
illegale di capitali all'estero, nonché una nuova normativa
antiriciclaggio. A livello Europeo, invece di imporre nuovi balzelli
e nuovi sacrifici cosa si fa per combattere il fenomeno dei paradisi
fiscali? Un Fiscal Pact degno di questo nome, sarebbe proprio di
questo che dovrebbe occuparsi! Di evasione, paradisi fiscali,
riciclaggio del denaro, transazioni finanziarie, grandi patrimoni.
La
strada che stiamo prendendo non è certo quella giusta.
E
le soluzioni che ho prospettato, dinnanzi alla truffa gigantesca
rappresentata dall'impalcatura europea nel suo complesso non vanno
certo a colpire o a risolvere il nodo centrale di questa crisi, dei
problemi legati al fisco, al debito sovrano e alla situazione sociale
che stiamo vivendo.
Dico
solo che in mancanza di una anche minima parvenza di
volontà di risolvere i problemi reali (monetari, economici e
costituzionali) legati al nome Unione Europea, che almeno i governi,
come quello italiano, si impegnino in una direzione diversa e non già
quella intrapresa fino a questo momento.
I
costi sociali da pagare causati da questa scelleratezza saranno
troppo alti.
Il
corto circuito è alle porte.
(Francesco
Salistrari)
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