C'era una volta un albero di nome Memo
che viveva in una grande foresta, circondato dai suoi compagni. Era
il più vecchio e aveva visto tante cose nel corso della sua vita.
Aveva persino visto passare di là, tanto tempo prima il mitico
Giuseppe Garibaldi che partiva alla volta della Sicilia per unificare
l'Italia. Lo aveva visto con la sua giubba rossa e l'inconfondibile
foulard dello stesso colore, simbolo di libertà e di uguaglianza.
I suoi amici alberi erano ancora
piccoli quando ciò avvenne e molti di loro oggi sono ormai morti,
tagliati dall'opera dell'uomo per costruire una delle tante strade
che unificarono il territorio italiano nel corso degli anni. Asfalto
al posto della foresta ed ora Memo è lì, su quella piccola
collinetta al ciglio della strada che osserva auto e camion passare
incessantemente ogni giorno.
E' lì e respira l'aria malsana degli
scarichi delle auto circondato da altri alberi più piccoli e con
meno esperienza.
Delle volte passa le sere a raccontare
loro di come fosse diversa l'Italia un tempo. Divisa e conflittuale,
dove non esistevano le automobili, il cemento, i palazzi e le grandi
città, ma tanta campagna e fieri contadini. Le terre a quei tempi
per lo più erano di proprietà di grandi signori che le affittavano
ai poveri contadini che con il loro lavoro ed amore le facevano
fruttare.
Ricordava le rivolte dei contadini
contro i signori e leggi di Roma, il sangue versato da un'Italia che
nessuno racconta e che per certi versi solo Memo poteva raccontare.
Il suo sguardo era capace di andare
oltre la valle e ricordava quando l'acqua dei fiumi era ancora
pulita, quando gli uccellini si posavano sui suoi rami a nidificare.
Quanti pochi ne erano rimasti! Li aveva visti diminuire anno dopo
anno e non sapeva darsene una ragione.
Alcuni dei suoi compagni proponevano
soluzioni fantasiose. Ma Memo lo sapeva. L'Italia era cambiata e la
natura aveva pagato il suo pegno.
Aveva dovuto sopportare anche una
miriade di incendi che avevano ucciso tanti suoi compagni e lui aveva
resistito grazie alla forte corteccia. Ricordava il caldo infernale,
gli animali che scappavano, il suolo infuocato. E soleva raccontarlo
ai suoi attuali giovani amici, che quasi non credevano alle sue
parole, ma che ben presto avrebbero dovuto farlo. Gli incendi nel
bosco erano purtroppo una triste ricorrenza.
Memo non sapeva a chi dare la colpa. Se
alla natura stessa o all'uomo. Sapeva soltanto che quando ciò
avveniva, era come precipitare all'inferno.
Aveva pianto lacrime amare per questo e
visto morire tanti compagni. Ma lui era ancora lì.
Testimone di un'età ormai andata, ma
che continuava a vivere nel suo cuore.
(Antonio Donato)
povero Memo e chissà ancora quanto dovrà vedere e sopportare
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