lunedì 25 gennaio 2010

Dignità.


A volte scrivere mi fa male, come un pugno allo stomaco.
E' come se confessassi un peccato tenuto celato per troppo tempo. E mi sento alla gogna.
Come se avessi gli occhi della gente appicicati addosso, simili a sanguisughe.
A volte scrivere mi fa sentire nudo.
Come quando si sogna di camminare in mezzo alla gente senza le scarpe, perfettamente a disagio.
Ed è così che tante volte rinuncio. Che zittisco la rabbia che mi scivola dentro. E' così che sospendo giudizi che inevitabilmente riguarderebbero anche me.
Viltà.
O qualcosa di simile.
Ho paura di scivolare nell'imprudenza, nel qualunquismo (se mai esistesse), nella maleducazione.
E taccio.
Nascondendo me stesso dietro le apparenze, come tutti, in fondo.
A volte mi trincero nel silenzio per non sembrare patetico, banale, superficiale.
Come adesso del resto.
Come sempre, forse.
Ma il più delle volte non riconosco limiti alla decenza...e grido il mio furore.
Contro quello che siamo, quello che sono.
Grido il mio dolore per le ferite che vedo comparirmi sul corpo, inferte da qualcuno chissà dove.
A volte scrivo e ammanto la mia naturale viltà con la dignità della denuncia. Una dignità che in fondo non mi appartiene, ma che fingo di avere.
Solo per sentirmi migliore.
In fondo per dimostrare a me stesso che non mi sono ancora arreso.


(Francesco Salistrari, 2010)

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