lunedì 3 agosto 2009

La Crisi Mondiale.



Vorrei trattare un tema già anticipato nel post precedente “Potere Nucleare”, tratto dall'introduzione all'omonimo libro di Manlio Dinucci. Il pericolo di una guerra atomica capace di distruggere la razza umana e gran parte delle forme di vita esistenti sul pianeta o quantomeno capace di metterne seriamente a repentaglio salute e convivenza.
Il fatto che la guerra fredda abbia rappresentato la fine dell'opposizione USA-URSS e la distensione internazionale nei rapporti di due aree del pianeta rimaste “separate” per cinquant'anni, non significa assolutamente che il pericolo di un conflitto in cui vengano utilizzate armi nucleari sia stato scongiurato. Questo per una serie di ragioni di ordine logico, militare, politico ed economico.
Da un punto di vista logico il fatto che nel mondo esistano, vengano mantenuti efficienti e pronti all'uso, arsenali nucleari che ammontano a circa 20.000 ordigni nucleari, lascia aperto lo spazio ancora al pericolo di un conflitto nucleare. Il fatto poi che molti paesi che possiedono o stanno sviluppando armi nucleari siano anche delle dittature, fa lievitare il rischio di un conflitto in maniera ancora più allarmante.
Da un punto di vista strettamente militare, paesi come Israele e la politica di “dominio globale” avviata dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre, pone seri problemi in ordine alla convivenza pacifica sul nostro pianeta. L'emergere sulla scena energetica e politica di forze straordinariamente dinamiche come Cina e India, rende ancora più problematica la “partita militare” che si sta giocando ormai da decenni. Non bisogna dimenticare infatti che tutti i paesi appena citati, negli ultimi anni, sono stati oggetto di grandi ristrutturazioni/ammodernamenti dei propri eserciti e sistemi di difesa/offesa, tra cui anche test di missili intercontinentali, esperimenti in campo chimico/batteriologico, riorganizzazione ed ammodernamento degli stessi arsenali nucleari. A questi paesi va aggiunta la ristrutturazione dell'ex Unione Sovietica anche in campo militare con l'avvio di programmi di ammodernamento delle strutture logistiche e militari, esperimenti chimico-batteriologici, sperimentazione di missili e sistemi propulsivi, sperimentazione di nuovi aerei da combattimento e mezzi da terra. Inoltre da un punto di vista strettamente militare, il “programma nucleare” iraniano, che porterebbe nel giro di qualche anno anche il paese fondamentalista nel novero del “club del nucleare”, determinerebbe un'alterazione significativa dei delicati equilibri esistenti in Medio Oriente già resi precari e forieri di tensioni traumatiche dalla guerra ultra decennale Israele/Palestina e dalla guerra in Iraq voluta fortemente dagli USA per il controllo del petrolio di questo paese. Inoltre non bisogna dimenticare l'allargamento ad est della NATO nei paesi dell'ex “Patto di Varsavia”, i progetti di allargamento delle basi presenti su suolo italiano (Vicenza), Germania e Francia (tutte basi attrezzate con armi nucleari), i progetti per lo Scudo Spaziale e la creazione di basi militari/missilistiche in pieno centro-Asia negli ex paesi appartenenti all'Unione Sovietica (Kirgikistan, Kazhakistan,Turkmenistan, Uzbekistan), l'occupazione militare dell'Afghanistan giustificata dalla “lotta al terrorismo” ma che in realtà nasconde precisi interessi politico-militari ed economici di cruciale importanza.
Questo da un punto di vista strettamente militare. Da un punto di vista economico e politico, la situazione appare molto problematica soprattutto alla luce della attuale crisi economica che investe il capitalismo mondiale e che minaccia di durare per molti anni e che trae origine non già, come è stato affermato dagli eminenti economisti americani, dalla crisi finanziaria dei subprime e delle bolle speculative, ma da una serie di eventi strettamente concatenati che vanno dalla crisi energetica mondiale (le riserve petrolifere hanno raggiunto o stanno per raggiungere il picco produttivo e la domanda è in prepotente ascesa) alla sciagurata politica della globalizzazione economica. Da questi due aspetti discendono tutti i problemi che oggi il sistema capitalista sta affrontando. Il fatto che il mondo stia vivendo una delle più profonde crisi economiche dal 1929 (la famosa crisi di “Wall Street” che segnò l'inizio della Grande Depressione) della storia mondiale, dovrebbe allarmare e non poco. Innanzitutto perchè di non facile risoluzione se non al prezzo di vasti sconvolgimenti, che naturalmente includono l'opzione della guerra. Se c'è una cosa infatti che il capitalismo, in quanto sistema complessivo economico-sociale-politico ci ha insegnato, è che i suoi momenti di maggiore crisi, vale a dire quelli che hanno messo a dura prova la sua stessa tenuta, sono stati risolti esclusivamente dalla guerra. La guerra distrugge risorse e uomini, risolve problemi di sovrapproduzione e sovrappopolazione, diminuisce in prospettiva il consumo energetico e alimentare, e pone le basi per la rinascita e la ricostruzione. E' un azzeramento di situazioni politiche, militari ed economiche efficientissimo e dà modo ai vincitori di imporsi con un proprio modello di dominio. Il fatto che i grandi mezzi di informazione non ne parlino, anzi lo escludano completamente, non significa che questa crisi economica non possa ingenerare una serie di ripercussioni capaci di portare il mondo sull'orlo di una crisi militare mondiale. Al contrario. I segnali in questo senso sono drammatici e inquietanti.
I maggiori focolai di guerra odierni (Medio Oriente e Asia) non a caso sono presenti proprio laddove esistono le maggiori riserve di petrolio e gas naturale esistenti sul pianeta. Queste guerre, che non sono altro che guerre di accaparramento di tali riserve, a breve o a medio termine, potrebbero determinare un fortissimo squilibrio nell'accesso a tali risorse e questo a vantaggio soprattutto degli Stati Uniti. Il fatto che la Cina, superpotenza militare ed economica, venga tagliata fuori da questi canali, potrebbe ingenerare una serie di ripercussioni molto serie. Del resto a cosa servirebbe l'installazione di basi militare e missilistiche americane in pieno Centro-Asia se non a “tenere sotto scacco” la potenza cinese? E la realizzazione dello Scudo Spaziale? Come considerare in questo scenario la potenza militare Coreana?
Il problema è essenzialmente energetico. Se non si troveranno risposte universali e adeguate alla sfida energetica che in qualche modo limiti fortemente la dipendenza dal petrolio e dalla fonti non rinnovabili dell'intera struttura produttiva mondiale, lo scontro tra le superpotenze sarà inevitabile.
In questo allarmante quadro, come non considerare che stiamo parlando di paesi che possiedono, tutti, arsenali nucleari tali da mettere a repentaglio l'esistenza stessa della razza umana?
Non voglio essere catastrofista e non credo assolutamente che i potenti del mondo siano tanto pazzi da scatenare una guerra nucleare totale. Ma lo studio e lo sviluppo delle cosiddette armi nucleari tattiche in un contesto bellico regionale non è da escludere assolutamente. La ritorsione all'uso di tali armi porterebbe ad una comunque inimmaginabile catastrofe ambientale e umana. Tali armi, sebbene meno distruttive in termini totali delle più “convenzionali” armi nucleari oggi schierate nei vari arsenali bellici, non sono da meno in quanto a danni a lungo termine, in fatto di contaminazione radioattiva di vaste aree geografiche. Se a questo aggiungiamo il fatto che a lungo termine l'esposizione ad agenti radioattivi provochi danni genetici ereditari, il quadro appare molto inquietante. Le armi nucleari tattiche, sebbene meno potenti, abbinate all'utilizzo di armi chimiche e batteriologiche, alle armi all'uranio impoverito, al fosforo (utilizzate già nei teatri di guerra iracheni e balcanici con conseguenze disastrose, ma che i mass media tacciono!), prefigurerebbero comunque uno scenario post bellico comunque devastante.
Il pericolo nucleare dunque, lungi dall'essere scongiurato, è una spada di Damocle che continua ad ondeggiare sulla testa dell'umanità, mettendone seriamente a rischio l'esistenza. Essere consapevoli di questo è già un primo passo. La consapevolezza dell'opinione pubblica di questi temi, appare dunque oggi di fondamentale importanza.
(Francesco Salistrari, 2009).

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